di Emanuele
Roberto Saviano è un bluff, chissà se esiste un giornale che ha il coraggio di pubblicare questa opinione. Gli indizi mi saltellavano davanti molti mesi fa, dopo la lettura di Gomorra, ma il formicolio restava nella periferia della mia testa: impossibile criticare chi ha scritto quel libro, sebbene mi abbia deluso. Ecco, pensavo, ce l’avrò con lui perché il successo planetario non corrisponde alla consistenza di un’opera che ricicla troppi ritagli di giornale e sentenze della magistratura senza spendere tante esperienze dirette; e soprattutto rimane fredda proprio come il film che ha partorito. Invece non è questo. Roberto Saviano è un bluff perché strombazza ai quattro venti la sua condizione di perseguitato. A poco a poco i pezzi del puzzle sono andati al loro posto, come succede a Poirot quando scopre l’assassino. La mia timida sensazione è diventata un robusta convinzione dopo la soffiata del pentito: “La camorra ucciderà Saviano entro Natale”. Una rivelazione più che sufficiente per farci schierare al suo fianco con tutte le nostre forze. E lui come reagisce? Con un ulteriore diluvio di autocommiserazioni elargite in punta di megafono. La sua denuncia è sacrosanta, ma ribadirla in tutte le interviste, in tutte le conferenze, in tutte le apparizioni pubbliche è un atto di megalomania. Se scrivi Gomorra devi essere pazzo per non calcolarne le conseguenze. Potrei inginocchiarmi cento volte ai suoi piedi per venerare quel coraggio che io non avrò mai. Ma non deve essere lui a ricordarmelo ogni minuto. Saviano è malato di protagonismo; e come tutti gli individui che esibiscono con eccessiva ostentazione il proprio valore, lo deprezza.