Il Corriere della Sera pubblica un commento di Paolo Franchi sulle intercettazioni e il Pd intitolato ”L’opposizione che balbetta”. Lo riportiamo di seguito:
”Si può benissimo non apprezzare il modo in cui Silvio Berlusconi ha posto il problema delle intercettazioni telefoniche, non condividere l’indicazione di limitarle alle inchieste di mafia e di terrorismo, e contestare l’idea di appioppare fino a cinque anni di galera a chi non se ne dà per inteso. Nessuno scandalo, dunque, se l’opposizione non apprezza, non condivide e contesta: anche in tempi di dialogo, questo è, né più né meno, il suo mestiere, e non sarebbe male se lo esercitasse anche su qualche altro terreno. Ma mestiere dell’opposizione è, o dovrebbe essere, anche quello di stabilire prima di tutto se a parer suo il problema esiste o è sollevato ad arte; e, nel caso ne riconosca l’esistenza, avanzare le sue proposte e confrontarle con quelle del governo. E allora viene da chiedere all’opposizione: secondo voi, esiste o no in Italia questo problema?
Il capo dello Stato ha voluto ricordare proprio ieri che la questione non solo c’è, ma è pure annosa, tanto che lo stesso governo Prodi aveva varato un suo disegno di legge in materia, e che sarebbe opportuno procedere d’intesa per ridiscutere le norme che presiedono ad alcune esigenze fondamentali, tra le quali spiccano da una parte quelle della tutela della privacy, dall’altra quelle di un ricorso «misurato» allo strumento delle intercettazioni. Si tratta, ancora una volta, di parole assai equilibrate, su cui governo e opposizione farebbero bene a riflettere seriamente. E parole animate da un convincimento di fondo: a giudizio di Giorgio Napolitano, le normative in vigore vanno ridiscusse anche perché la privatezza dei cittadini oggi non è salvaguardata a sufficienza, e il ricorso alle intercettazioni non è «misurato» quanto dovrebbe.
Non si tratta, ovviamente, di un appoggio preventivo ai provvedimenti annunciati da Berlusconi. Per capire che non sono soddisfacenti, non è necessario coltivare il sospetto antico che il Cavaliere parli sempre e soltanto pro domo sua: basta riflettere all’importanza cruciale delle intercettazioni nel fare emergere l’orribile vicenda della Santa Rita di Milano, e si comprende subito che non ha senso l’idea di utilizzarle solo per i casi di mafia e terrorismo. Ma questo vuol dire che bisogna entrare nel merito, delimitandone con maggiore sagacia l’ambito di applicazione, o che bisogna lasciare le cose come stanno? Non diciamo la sinistra, che è cosa diversa e più complicata, ma l’opposizione parlamentare è d’accordo o no con le valutazioni da cui Napolitano fa discendere il suo appello bipartisan? La risposta non è facilissima. Dunque. Antonio Di Pietro e l’Italia dei Valori no, non sono d’accordo. Per loro, porre degli argini alle intercettazioni e alla loro diffusione a mezzo stampa significa sempre e comunque mettere al guinzaglio la magistratura e tenere all’oscuro della verità l’opinione pubblica, e chi non si oppone senza se e senza ma a una simile infamia se ne fa complice. Nessuna sorpresa, anzi: conoscendo Di Pietro, ci sarebbe stato da sorprendersi se avesse assunto un atteggiamento diverso.
Ma il fatto è che il suo bersaglio, ancor più di Berlusconi, sembra essere il Partito democratico, che non può schiacciarsi su una simile posizione, se non vuole passare dal dialogo alla rottura nel rapporto con maggioranza e governo, e però non può neanche prenderne nettamente le distanze, come pure molto probabilmente amerebbe fare. E di conseguenza balbetta, perché dire che le intercettazioni «sono uno strumento fondamentale per contrastare ogni attività illegale» (nessuna, proprio nessuna esclusa?), ma non per questo debbono finire sui giornali è, appunto, un balbettio. O poco più. Certo, nell’attribuire a Di Pietro e al suo gruppo un così forte potere di interdizione e di condizionamento ha pesato non poco la scelta del Pd di derogare per loro, e soltanto per loro, alla decisione di correre da soli nelle ultime elezioni: Walter Veltroni in questi mesi non ha mai detto di essersene pentito, ma noi giureremmo di sì, visto che ogni giorno che passa sembra suggerire un motivo in più per smentirne le buone ragioni. E però nemmeno un cinque e qualcosa per cento e un gruppo parlamentare combattivo e relativamente nutrito basterebbero a rendere Di Pietro e il dipietrismo così influenti se molte delle loro tesi non trovassero tuttora nell’elettorato e nell’area di opinione che sostiene il Pd orecchie quanto mai sensibili. Storie vecchie, robe da anni Novanta, quando si pensava, e talvolta si dichiarava pure, che l’azione giudiziaria fosse una sorta di prosecuzione della lotta politica con altri mezzi. Sarà così, anzi, è sicuramente così. Ma se una simile cultura, al momento di stringere, torna sempre a galla, vuol dire almeno che non si è fatto abbastanza per lasciarsela alle spalle, accettando di pagare, all’occorrenza, anche i prezzi del caso. Non è mai troppo tardi, per carità . Però bisogna pur cominciare”.
