Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Franco Venturini sulle sfide che attendono Obama intitolato ”Le nuove ragioni dell’Occidente”. Lo riportiamo di seguito:
”Il trionfo di Barack Obama non è, come sostengono i suoi tifosi più accesi da questa parte dell’Atlantico, una automatica vittoria dell’Europa. L’America continuerà a tutelare prima di tutto i suoi interessi, continuerà a ragionare da superpotenza, continuerà a sollecitare la collaborazione talvolta scomoda dei suoi alleati. Non ci sarà una improvvisa europeizzazione degli USA. Ma se le illusioni facili sono mal riposte, non lo è la speranza strategica di adeguare l’Occidente alla caduta del Muro con quasi vent’anni di ritardo. Il change che Obama porterà presto alla Casa Bianca nasce in condizioni che più difficili non potrebbero essere, incalzato da una crisi economico-finanziaria di cui ancora nessuno conosce i confini e minacciato da conflitti regionali che hanno avuto il solo merito di «localizzare » parzialmente il terrorismo. E questo mentre emerge davvero il mondo multipolare, mentre si rende necessario l’aggiornamento della governance economica (ma inevitabilmente anche politica) del mondo, mentre l’America che Obama eredita da George Bush ha la peggiore immagine internazionale dai tempi del Vietnam. Come dire che la ricerca del successo, per il neoeletto presidente, avrà bisogno di un multilateralismo efficace; che l’America dovrà puntare sul dialogo pur continuando, come fanno tutte le potenze, a tenere il dito sul grilletto; che all’approccio ideologico-religioso di Bush e di Cheney subentreranno le leggi del pragmatismo; che si continuerà a favorire la democrazia, ma senza volerla «esportare» a tutti i costi con elezioni destabilizzanti (si pensi, per citarne uno solo, all’esempio palestinese e alla vittoria di Hamas). Ebbene, sono esattamente queste le premesse indispensabili per rilanciare davvero il rapporto transatlantico. Non si tratta soltanto di seppellire definitivamente i dissensi tra gli americani e alcuni governi europei, per esempio sull’Iraq. La posta è assai più alta: si tratta di poter dissentire senza lacerazioni perché al dialogo tra alleati si accompagnerà un nuovo reciproco rispetto, perché ognuno avrà non soltanto bisogno degli altri per raggiungere i propri obbiettivi ma anche una nuova disponibilità a capirne le ragioni. La guerra fredda, con le sue priorità di sicurezza, non consentiva un simile rapporto tra americani ed europei. Nel dopo- guerra fredda, fino a ieri, l’alleanza ha vissuto una maturazione lenta e fatta anche di passi indietro. Ora Barack Obama, un po’ perché ne avrà bisogno e un po’ perché afferma di crederci, può essere il leader di un Occidente dotato di nuove ragioni, di nuovi metodi e dunque di nuova forza. Per cogliere l’occasione bisognerà , è vero, superare ostacoli formidabili. A cominciare da quello della crisi finanziaria, che tuttavia favorisce e quasi impone un nuovo approccio alle relazioni internazionali: le risposte devono obbligatoriamente essere coordinate, i Paesi emergenti o da tempo emersi come la Cina diventano interlocutori irrinunciabili, e per una volta l’Europa ha avuto buon gioco nel conquistare un ruolo di iniziativa rispetto a tutti, anche agli USA. Obama ne avrà preso nota, come di certo aveva preso nota in agosto dell’utile lavoro svolto dagli europei per non far dilagare gli scontri russo-georgiani. Ma c’è dell’altro. Obama ha fatto della guerra in Afghanistan una sua priorità , e il prezzo sempre più alto del conflitto gli dà ragione: la vittoria militare è lontana e forse impossibile, occorre modificare la strategia complessiva e tentare di dividere i talebani. Ma per risultare credibile, questo tentativo richiede un aumento delle forze sul terreno e un maggior impegno finanziario di chi non è presente. Gli europei nicchiano, e rilevano a ragione che i civili uccisi (anche in Pakistan) contribuiscono al peggioramento della situazione. Più impegno e tattiche militari diverse, l’accordo è possibile se lo si vuole raggiungere. L’Europa vorrebbe che Obama affrontasse subito i nodi del Medio Oriente, sostiene il coinvolgimento diretto degli USA in una prova di dialogo sul nucleare iraniano, vuole convincere Washington che le tensioni con Mosca non vanno esacerbate pur in presenza della nuova e talvolta minacciosa volontà di potenza della Russia. Nulla, in questa agenda, sembra poter impedire a Barack Obama di tenere a battesimo un rapporto contemporaneamente più stretto e più equilibrato con gli alleati europei. Ma naturalmente per intendersi come per ballare bisogna essere in due, e sarebbe davvero triste che l’Europa si presentasse alla grande occasione chiamata Obama divisa o indecisa. Il treno di un nuovo Occidente rischierebbe di non passare più”.
