ROMA – I giornalisti dell’Espresso, eredi di quella redazione che bloccò l’assunzione di Lietta Tornabuoni dicendo “Tornabuoni chi?” hanno appreso del cambio di direttore con sorpresa (anche se l’avevano già letto su Dagospia) ma alla fine hanno accettato il verbo:
“Ci confortano le parole del presidente Carlo De Benedetti, che ha ricordato il “ruolo fondamentale de “l’Espresso” nella storia del giornalismo italiano” e ha aggiunto che “in un momento così incerto per il Paese, questa storia si deve rinnovare mantenendosi forte e viva”. Esattamente quello che noi chiediamo da anni all’azienda e ai direttori”.
Commoventi.
Nel loro documento post incontro, i giornalisti dell’Espresso hanno anche scritto:
“Da un lato ci viene chiesta disponibilità all’innovazione e al cambiamento, dall’altro l’azienda propone la solita minestra: tagli, tagli, e ancora tagli.
“Questa mattina il presidente del Gruppo Espresso Carlo De Benedetti e l’amministratore delegato Monica Mondardini ci hanno convocato improvvisamente per annunciare il cambio repentino del direttore del nostro settimanale: Bruno Manfellotto verrà sostituito da Luigi Vicinanza“.
Dove sono finiti i Paolo Mieli e i Giancesare Flesca che con bloccarono l’uscita di un numero perché non gradivano la nomina di Giovanni Valentini a direttore, o le donne della generazione successive che imbastirono lo sciopero delle firme perché non gradivano un direttore donna?
Altri tempi: il settimanale guadagnava Oggi è tempo di realismo, come si addice ai nobili decaduti:
“I vertici dell’azienda e i direttori (uscente ed entrante) durante l’incontro hanno parlato delle difficoltà del conto economico del giornale e della necessità di “andare avanti a costi più ridotti possibile”.
“Dunque – si legge ancora – se da un lato ci viene chiesta disponibilità all’innovazione e al cambiamento, dall’altro l’azienda propone la solita minestra: tagli, tagli, e ancora tagli. “L’Espresso” è appena uscito da uno stato di crisi che ha portato al prepensionamento di 12 colleghi. Una ristrutturazione presentata come premessa al rilancio del settimanale, che invece non ha mai visto la luce.
Manfellotto, addirittura, ha evidenziato che lo stato di crisi ha immobilizzato per due anni “l’Espresso” costringendolo “all’ordinaria amministrazione”, quando invece il panorama editoriale avrebbe imposto sforzi e strategie straordinari”.
“Ancora oggi l’azienda (paventando ulteriori sacrifici su una redazione che ha già pagato l’assenza di scelte editoriali convincenti) non ha presentato nessun piano di rilancio. Nessuna visione del futuro del giornale. Né ipotesi di investimento sul più autorevole newsmagazine del Paese.
[Questa è un po’ come quella della eccellenza degli ospedali, importante è crederci].
“Nessuna idea su come affrontare la burrasca che sta travolgendo il mondo dell’informazione”.
Idee dai giornalisti è troppo. Si attende l’azienda, con giustificata paura:
“Ci auguriamo, dunque, che non siano, ancora una volta, solo i giornalisti e i poligrafici a pagare gli effetti della crisi”.