La Stampa pubblica un commento di Vittorio Emanuele Parsi sui rapporti Europa-Usa intitolato ”Torna l’asse Usa-Europa”. Lo riportiamo di seguito:
”Il futuro presidente degli Stati Uniti sarà probabilmente il primo inquilino della Casa Bianca che si troverà a dover affrontare un problema inedito per la storia americana dai tempi del presidente Theodore Roosevelt.
Da quando cioè gli Usa conclusero la stagione del loro splendido isolamento e si tuffarono nel mondo. Si tratta del tramonto della convinzione che la diffusione dell’economia di mercato e del capitalismo avrebbe finito per avvantaggiare innanzitutto gli Stati Uniti, cioè quella che ormai era già diventata l’economia più grande e più avanzata del pianeta. Questa idea, assai più della diffusione della democrazia – che pure ne rappresenta un corollario importante – ha rappresentato la vera idea-guida della politica di Washington nel mondo nel corso del «secolo americano». Saranno Woodrow Wilson e Franklyn Delano Roosevelt a sviluppare questo corollario della politica estera americana e a forgiare la coppia concettuale «democrazia e mercato», che si rivelerà fondamentale per sconfiggere l’Unione Sovietica nella lunga Guerra fredda. Nel corso della secolare vicenda che li ha visti protagonisti della politica internazionale, gli Stati Uniti hanno sovente tollerato di avere come alleati – ma sarebbe più preciso definirli «clienti», nell’accezione latina del termine – regimi che in nessun modo sarebbe possibile definire democratici; ma non hanno mai esteso la loro protezione a sistemi che non fossero, dal punto di vista economico, capitalisti.
Dopo il 1989, si spiega così la politica clintoniana, tutta tesa a favorire il processo di globalizzazione, ritenuto il volano capace di innescare un circolo virtuoso di ordine e sicurezza per il mondo attraverso la diffusione dell’economia di mercato, l’accelerazione dell’interdipendenza e la moltiplicazione dei sistemi democratici. Al di là dei suoi meriti, e anche oltre le sue indubbie qualità , Bill Clinton si trovò nella fortunata condizione di gestire con abilità e coraggio un successo costruito da altri prima di lui. Fu un momento unico, in cui gli Stati Uniti erano il sole di un sistema copernicano (in termini di potenza), ma anche il mozzo della ruota (rispetto al processo di globalizzazione).
Per un lungo momento, quello che Theodore Roosevelt aveva iniziato sembrò poter essere portato a compimento. La grande novità che però si stava producendo sotto traccia, e che sarebbe esplosa con le conseguenze dell’11 settembre, era non tanto e non solo il rafforzarsi o il ritornare di altre grandi potenze (la Cina, la Russia), ma il fatto che grandi porzioni di quel sistema integrato di economie di mercato creato grazie al successo americano nella Guerra fredda, non dipendevano per la loro sicurezza dalla protezione americana. Detto con semplicità , il trionfo del capitalismo e dell’economia di mercato non significava più, ipso facto, né un incremento della quota di ricchezza, né un aumento del potere economico e politico americani. Tra i Paesi che hanno segnato la maggior crescita economica nel principio del nuovo millennio, i cosiddetti BRICs, Cina e Russia sono infatti indipendenti (quando non rivali degli Stati Uniti) per quel che concerne le proprie concezioni e le rispettive politiche di sicurezza, mentre India e Brasile non vedono necessariamente nel mantenimento di una posizione di leadership globale degli Stati Uniti la principale garanzia per la propria sicurezza politico-militare.
Per nulla paradossalmente, è l’Europa a dipendere ancora per la propria sicurezza dalla continuità della leadership americana. Il ritorno assertivo e muscolare sulla scena internazionale di una Russia che sembra irreversibilmente inclinare verso una «demokratizatsiya» dai tratti marcatamente illiberali da un lato, e la crescita continua di una Cina semplicemente «fuori scala» per un’Europa persino più unita dell’attuale, dovrebbero consigliare agli europei di giocare la carta della «debolezza americana» nella direzione della ricerca di una partnership più paritaria, ma non per questo aleatoria. È proprio adesso che un’Europa consapevole del proprio valore insostituibile come alleato democratico della democratica America, e forte del temporaneo vantaggio della sua più lungimirante strategia per uscire dalla crisi finanziaria, dovrebbe rilanciare l’intesa con gli Stati Uniti, nella consapevolezza che (come ha osservato Angelo Panebianco dalle colonne del Corriere della Sera), il tramonto della leadership globale degli Stati Uniti potrebbe rendere il mondo meno «pacifico», meno «libero» e più inospitale per le democrazie. Quanto questa corretta previsione potrà essere smentita dipenderà anche dalla determinazione che i sistemi fondati sulla democrazia e sul mercato, per quanto diversamente essi possano essere declinati, sapranno dimostrare nel cercare la difficile via della collaborazione, ricordando che la relazione speciale tra Europa ed America non è fondata principalmente su periodici interessi comuni, ma su un tessuto permanente di valori condivisi”.
