Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Angelo Panebianco sul discorso di Fini alla camera intitolato ”Il dialogo come metodo”. Lo riportiamo di seguito:
”Il discorso con il quale il neo-presidente della Camera Gianfranco Fini ha salutato i deputati sembra uno di quei discorsi destinati a lasciare il segno. Con la sua elezione e con le sue parole, Fini è uscito del tutto dal cono d’ombra in cui — ma prima della vittoria di Gianni Alemanno a Roma— si era trovato relegato a causa delle modalità con cui era avvenuta l’aggregazione fra Forza Italia e An e del successo elettorale della Lega. Col suo discorso Fini ha inteso imporre una forte, personale impronta sulla legislatura che si apre ma anche, implicitamente, definire, dal suo punto di vista, l’identità del nuovo centrodestra. Almeno quattro passaggi del suo discorso sono apparsi finalizzati a questo scopo. In primo luogo, l’omaggio, irrituale, a Papa Benedetto XVI, che ha immediatamente seguito il più consueto omaggio al presidente della Repubblica. E’ in nome del principio della laicità delle istituzioni, dice Fini, che il Parlamento deve riconoscere il ruolo della religione cristiana come cemento dell’identità culturale italiana. Con questo richiamo Fini ha inteso anche ricordare che il centrodestra, in Italia come al Comune di Roma, non mancherà mai di difendere l’identità cristiana del Paese. Questo aspetto è ulteriormente rafforzato da un altro passaggio, quello in cui, dopo avere reso omaggio alla Liberazione e alla riconquistata libertà , Fini ha sostenuto che oggi la minaccia non viene più dai totalitarismi ma dal relativismo culturale e morale. E’ un altro punto su cui Fini ha voluto ribadire la sua consonanza con la lezione del Pontefice. Implicitamente, egli ha così anche affermato un aspetto centrale, dal suo punto di vista, dell’identità politica del centrodestra.
Ma ci sono almeno altri due passaggi, politicamente assai salienti. Il primo è quello in cui ha ringraziato due ex presidenti della Repubblica, Cossiga e Ciampi (ma, significativamente, non Scalfaro) per il contributo che diedero all’abbattimento degli steccati lasciati dalla storia e alla ricostituzione di una memoria condivisa. Tante cose sono accadute dai tempi di Fiuggi e Fini aveva già dato una fortissima accelerazione al superamento delle divisioni passate, soprattutto nella veste di ministro degli Esteri del precedente governo Berlusconi (il viaggio in Israele fu, a questo fine, decisivo). Ma ora, dopo la sua elezione e il suo discorso, un’epoca della storia della Repubblica si è davvero chiusa. Ci aspettano di sicuro altre divisioni ma non più quelle del passato. Da ultimo, Fini (come già Schifani in Senato) ha ribadito la necessità di un accordo fra maggioranza e opposizione sulle riforme. Più che un richiamo rituale è stata un’implicita presa di posizione contro tendenze di segno contrario che potrebbero facilmente manifestarsi. Alcune delle condizioni che giocavano a favore di un dialogo costruttivo fra maggioranza e opposizione si sono infatti indebolite. C’è una maggioranza che ha vinto tanto e potrebbe essere tentata (sbagliando) di «fare da sola» anche in materie in cui l’accordo con l’opposizione è indispensabile. E c’è un leader del Pd, Walter Veltroni, indebolito dalle sconfitte e, quindi, più condizionato, con meno margini per trattare con la maggioranza. Il richiamo di Fini è servito anche a ricordare alle due parti che senza collaborazione non si potrà fare il bene del Paese”.
