La Stampa pubblica un commento di Lorenzo Mondo sull’andamento della giustizia in Italia intitolato ”Se il giudice si atteggia a redentore”. Lo riportiamo di seguito:
”La gran bagarre sul lodo Schifani e la legge blocca-processi, che investono la figura e le vicende giudiziarie di Berlusconi, ha messo la sordina sullo stato più generale della giustizia in Italia. Soltanto qualche telegiornale ci ha informati, di passata, sull’ennesima scarcerazione di decine di malavitosi per decorrenza dei termini di custodia. Scarso rilievo hanno avuto le preoccupazioni del Guardasigilli sui boss mafiosi che beneficiano della riduzione del carcere duro. È subito rientrato il clamore suscitato dall’efferato killer di Pescara, dovuto al fatto che era stato a suo tempo un accusatore di Enzo Tortora. C’era ben altro nella carriera di Michelangelo il Casertano, che ha ammazzato per un diverbio il gestore di un impianto balneare. Il suo caso è malauguratamente esemplare. Arrestato nel 1983 quale responsabile di 15 omicidi, era uscito dalla prigione, rientrandoci due volte, dopo permessi premio (?) subito sfociati in rapine. Da qualche mese aveva ottenuto una licenza lavorativa, impiegandosi – pensate un po’ – in un parco giochi popolato di bambini.
Ma chi e perché ha messo fuori un tale campione? In base a quali evanescenti criteri si concede la libertà a criminali incalliti? Inutile appellarsi ipocritamente alla Costituzione, secondo cui le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato». Il verbo «tendere», fino a prova contraria, implica l’idea di un tentativo che non garantisce di per sé la riuscita dell’esperimento. Vien da ridere pensando a giudici che si atteggiano a redentori e sembrano non avere coscienza della pervicace potenza del male. Basta il fatto che non ripetano o siano impediti di ripetere in carcere gli stessi reati, basta il trattamento magari frettoloso di uno psicologo, per recuperarli? E come ignorare che, in certi casi, una vera rieducazione può soltanto passare attraverso l’accettazione della condanna e della relativa pena? Questi e altri innumerevoli interrogativi si pone l’opinione pubblica sull’amministrazione della giustizia. Con una indignazione che, per essere sorda, non è meno sentita. Fino a reagire con malcelato scetticismo, con una indulgente alzata di spalle, alle traversie processuali di Berlusconi che sembrano prendersi tutta la scena, lasciando inalterato il complessivo, intollerabile andamento della giustizia”.
