L’Olocausto: una faccenda europea, in una riscostruzione del tedesco der Spiegel

La Germania è, senza alcun dubbio, il Paese responsabile del massacro su scala industriale di sei milioni di Ebrei. Ma la collusione dei cittadini di altri paesi europei e del loro contributo all’Olocausto ha ricevuto poca attenzione fino ad oggi. Questa è la tesi del settimanale tedesco der Spiegel, in edicola, in un articolo ora è pubblicato anche nell’edizione on line, Spiegel.de, nella versione in lingua inglese. Blitzquotidiano lo propone come articolo del giorno.

L’articolo prende lo spunto dal caso di Ivan Demjanjuk, salito all’attenzione dei giornali di tutto il mondo negli ultimi giorni. Demjanjuk era stato una guardia nel campo di concentramento di Flossenbürg fino a poco prima della fine della II Guerra Mondiale. Era stato successivamente trasferito nel campo di Sobibor (oggi in Polonia).

Demjanjuk era ucraino, ed era uno dei tanti che hanno contribuito a  l’uccisione degli ebrei europei  per realizzare la «soluzione finale»;  Demjanjuk avrebbe contribuito a sterminarne 29mila.

Oggi Ivan Demjanjuk ha quasi novanta anni, ma per il giudice è idoneo ad affrontare un processo; peccato però che i testimoni non ci sono più.  L’accusa parla di «una guardia efficiente ed esperta che accompagnava gli ebrei nelle camere a gas, il pane quotidiano di Demjanjuk».

I numeri dell’olocausto sono molto grandi, non solo per quanto riguarda i tedeschi coinvolti: infatti, ben 200 mila persone, secondo l’Istituto Tedesco per la Storia Contemporanea, avevano un’altra nazionalità ma collaboravano a vario titolo con le SS:  gendarmi ucraini, ausiliari di polizia lettoni, soldati rumeni, lavoratori delle ferrovie ungheresi. Ed ancora, agricoltori polacchi,  funzionari olandesi,  sindaci francesi,  ministri norvegesi e tanti soldati italiani.

Non è vero, sostiene lo Spiegel, che i collaborazionisti pensassero che gli ebrei deportati ad est non sarebbero stati sterminati, come invece è accaduto. Tutti conoscevano le proprie vittime, anche perché gli informatori venivano sempre ben pagati. Non che i nazisti ne fossero sempre soddisfatti. Un alto ufficiale tedesco responsabile per l’uccisione di più di 100.000 persone dichiarava che agli ucraini mancava, a suo dire, un «pronunciato antisemitismo».

Se ad Hitler ed ai suoi fanatici esecutori si può imputare la principale responsabilità, politica e operativa,  dell’olocausto, nei villaggi e nelle città dell’Europa orientale, sostiene Spiegel,  ci sono stati fino a 10 collaboratori locali per ogni poliziotto tedesco. Il rapporto è simile anche nei campi di sterminio. Se Auschwitz era stato quasi interamente gestito da tedeschi, Belzec e i suoi 600.000 morti come Treblinka che di morti ne ha accumulati 900.000, nella gestione avevano tantissimi non tedeschi.

È lo storico Götz Aly a chiedersi se la «soluzione finale» non sia stata un «progetto europeo, che non può essere spiegato e legato solo alla  storia tedesca»: l’Italia e la Francia hanno, seppur in ritardo, iniziato a parlare di questi argomenti, mentre paesi come la Lituania, l’Ungheria e la Romania solo adesso iniziano a fatica a porsi queste domande.

La Lettonia è il paese che ha avuto il maggior numero di collaborazionisti, la Danimarca quello che ne ha avuti di meno: la cosa che più colpisce è che molti di questi abitanti dei Paesi balcanici responsabili dei massacri, a fine guerra sono tornati ad essere delle persone perfettamente normali come se non fossero stati, solo pochi mesi prima, degli incalliti assassini.

Per alcuni storici le ragioni del collaborazionismo sono da ricercare nell’ opportunismo o in motivazioni prettamente sociali:  collaborare con i nazisti metteva al riparo dall’esproprio dei propri beni. Ma c’è di più: già dagli anni 30 tutta l’Europa era scossa dall’antisemitismo per la forte agitazione creata in Europa dalla crisi economica.  In Europa orientale, la tendenza a fare gli ebrei i capri espiatori della crisi, cercando così di escluderli dal mercato del lavoro, è stata particolarmente forte. In Ungheria, gli ebrei furono banditi dai pubblici uffici già alla fine del 1930 e fu loro proibito anche di svolgere un gran numero di professioni.

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Lorenzo Briotti