di Gabriele
L’affermazione che nei Paesi islamici esistono chiese cristiane può anche essere vera, come è vero che vi sono vescovi, legati apostolici e preti. Quello che, però, in genere si tralascia di precisare sono le condizioni di vita che i cristiani in gran parte dei Paesi islamici sono costretti a subire, in particolare nel Medio Oriente. Alcuni esempi valgono più di lunghi discorsi. Ad Aleppo, in Siria, nel breve volgere di pochi anni i cristiani si sono ridotti a poche migliaia e, causa il perdurare dell’attuale oppressione, essi sono destinati a scomparire. Nel Libano, come dichiarato dall’attuale Patriarca della Chiesa di quel Paese, continua incessante l’esodo dei maroniti, ortodossi e cattolici. I cristiani dell’Iraq sono continuamente perseguitati e condannati a morte secondo la sharia, come testimoniano di continuo i tanti profughi iracheni che vivono in Italia. Anche l’Egitto, Paese che passa per progredito, ha reso difficile la sopravvivenza dei cristiani copti. Debbono nascondere la loro fede, altrimenti vengono emarginati e di conseguenza non possono lavorare per vivere. Questo l’ho potuto constatare di persona attraverso testimonianze dirette in un soggiorno a Sharm el-Sheikh. Potrei continuare sullo stesso argomento, sempre con fatti e azioni anticristiani accertati in Iran, Turchia, Algeria, Pakistan, Sudan e così via. Non sono l’edificazione di alcune chiese che possono determinare i Paesi islamici come tolleranti. Quando queste chiese sono vuote perché frequentarle può costare la vita, forse è meglio non costruirle.