di Archangel
L’orso russo e’ ritornato. Credevamo di essercene sbarazzati una volta per tutte nel 1989 con il crollo del muro di Berlino e l’implosione dell’Unione Sovietica. Credevamo che le pluridecennali paure della Guerra Fredda fossero state esorcizzate per sempre e il terrore nucleare del MAD (Mutual Assured Destruction, Distruzione Reciproca Assicurata) un incubo svanito. Credevamo che la Russia, dopo decenni di comunismo e avventurismo nei quattro angoli del mondo sarebbe diventata, se non proprio una democrazia, un Paese piu’ o meno ”normale”. Ci siamo tutti clamorosamente sbagliati, non ultimo il presidente Usa George Bush che dopo aver di recente abbraciato Putin aveva dichiarato di ”aver letto nella sua anima e di fidarsi di lui”. E invece il letargo dell’orso e’ durato poco: ora torna a voler spadroneggiare in Europa (e forse domani anche altrove) e fa tremare le vene ed i polsi annunciando che tra breve comincera’ a sperimentare una nuova generazione di missili balistici intercontinentali. L’approvazione della secessione di Ossezia del Sud e Abkhazia dalla Georgia e’ un violento schiaffo in faccia all’Occidente, che aveva avvertito il Cremlino di non farlo. Ma Putin ed il suo alter ego Medvedev se ne sono altamente stropicciati, recando come giustificazione per i loro atti l’atavica sindrome russa dell’accerchiamento: l’Occidente da una parte e il minaccioso drago cinese col suo miliardo e trecento milioni di abitanti dall’altra. Ma davvero può considerarsi a rischio d’accerchiamento un impero bicontinentale, che anche dopo la dissoluzione dell’Urss rimane tuttora esteso per oltre 17 milioni di chilometri quadrati? E’ probabile, se non già dimostrato, che i bombardieri e i carri armati di Putin in Georgia avessero anche lo scopo di provare l’insicurezza dell’oleodotto Btc, che dal Caspio passa per la Georgia e la Turchia fino al Mediterraneo, come inducono a supporre le operazioni militari prolungate in territorio georgiano. Quella, per ora, è la sola fornitura di greggio per l’Europa che non venga dalla Russia o dall’Iran. Sullo stesso itinerario è atteso anche il gasdotto Bte, impresa di rilevante interesse. Ci si domanda se il disegno di Putin comprenda non solo un espansionismo geopolitico, ma geoenergetico, passando anche per Tbilisi. L’interrogativo è sospeso, ma non secondario. La risposta verrà, nei prossimi tempi, con gli ulteriori sviluppi della controversia internazionale sul Caucaso. Ci si domanda anche, con un pizzico di angoscia, cosa potra’ fare l’Occidente per ”contenere” (una strategia che risale alla Guerra Fredda) la Russia. Dall’Europa ci si puo’ aspettare molto poco eccetto espressioni di sdegno e appelli alla ragionevolezza verso chi di ragionevolezza non vuol sentir parlare. Quanto agli Stati Uniti, gia’ impegnati in due guerre, in Iraq e in Afghanistan, allo stato dei fatti non sembrano in grado di fare molto neanche loro. Uno scontro con i russi in Europa? Impensabile. Tutto questo Putin lo sa benissimo, e ne approfitta. Quanto ne approfittera? Tra i pessimisti c’e’ l’ex-consigliere per la sicurezza nazionale Usa Zbigniew Brzezinski, che in una recente intervista ha fornito questo scenario non certo rassicurante: ”Putin sta avviando la Russia su una rotta che ricorda da vicino quella di Stalin e di Hitler sul finire degli anni Trenta. Il ministro degli Esteri svedese, Carl Bilt, ha sottolineato il parallelo tra la "giustificazione" di Putin per smembrare la Georgia — la presenza russa nell’Ossezia del Sud — e le tattiche di Hitler nei confronti della Cecoslovacchia, per "liberare" i tedeschi sudeti. Ancor più minacciosa è l’analogia tra quello che Putin sta facendo in Georgia e quello che Stalin fece in Finlandia, vale a dire, sovvertire con l’uso della forza la sovranità di un piccolo Stato confinante democratico. A tutti gli effetti, morali e strategici, la Georgia è la Finlandia dei nostri giorni. La questione che oggi la comunità internazionale deve affrontare è come reagire a una Russia che ricorre sfacciatamente all’uso della forza, con un più vasto disegno imperiale in mente: reintegrare il territorio ex sovietico sotto il dominio del Cremlino e impedire all’Occidente l’accesso al Mar Caspio e all’Asia centrale, grazie al controllo sull’oleodotto Baku/Ceyhan che attraversa la Georgia. Se la Georgia capitolerà, non solo l’Occidente si ritroverà tagliato fuori dal Mar Caspio e dall’Asia centrale, ma possiamo logicamente prevedere che Putin, se non troverà ostacoli, userà la medesima tattica verso l’Ucraina, Paese contro il quale ha già espresso minacce». E pensare che il segretario di sato Condoleezza Rice aveva affermato non molto tempo fa che ”i rapporti americani con la Russia non sono mai stati così buoni nel corso della storia”. L’unica speranza che Putin non si lasci prendere troppo la mano e’ che a giudizio degli esperti (e speriamo che abbiano ragione) la Russia non e’ in grado di affrontare un’altra Guerra Fredda. La sua precedente esperienza in questo campo dovrebbe farla riflettere.