di Gabriele
E vero, l'università italiana è malata. Malattia grave e difficilmente curabile perchè la fonte del contagio è vastissima: quasi l'intera società. Sai benissimo che i mali che la affliggono sono gli stessi che affliggono il vivere sociale di questa povera Italia: clientelismo, favoritismo, familismo, assistenzialismo (quanti …ismo!). Il problema non è di semplice soluzione e l'abolizione del valore legale del titolo o l'assunzione diretta con successiva valutazione dei "meriti e/o demeriti" possono essere utili ma non sono risolutivi. Immagina un "baronetto" che assume una persona poco capace: se è scientificamente produttivo e se la sua scuola funziona, coprirà le pecche del nuovo assunto magari riempiendolo di pubblicazioni e permettendogli di superare nella progressione di carriera "esterni" più meritevoli. Dico esterni perchè non trascurerà di adottare una politica delle progressioni che gli permetta di mantenere l'ordine interno. La valutazione è una faccenda delicata e facilmente addomesticabile. Come tutte le cose che non sono misurabili con un criterio univoco si presta ad interpretazioni personali e, probabilmente, ad uso privato. Ricordo con dispiacere i risultati dei concorsi universitari (quelli fatti con le precedenti regole) in cui le grandi università "piazzavano" il loro candidato (talvolta veramente bravo e capace) che restava nella nuova sede il tempo minimo indispensabile e poi faceva le valigie e tornava nella sede di provenienza. Ciò che lasciava dietro di sè era lo stesso deserto che aveva trovato. Non so indicare una soluzione al problema perchè, come accennavo all'inizio, è l'intera società italiana ad essere colpevole e a dover cambiare. Solo se l'intera società cominciasse a percepire come indispensabile il raggiungimento di eccellenza scientifica la pressione sul mondo accademico potrebbe ottenere il risultato di fare emergere chi eccellente lo è davvero.