Obama vuole la pace in due anni, Netanyahu volta le spalle alla sospensione degli insediamenti proposta a partire da ottobre, Abu Mazen spera nello stop definitivo alle colonie israeliane. La cosiddetta questione mediorientale mette alla prova i tre leader protagonisti: uno è il presidente americano, l’altro è il primo ministro israeliano, il terzo è il presidente palestinese. Si sono incontrati a New York con l’obiettivo di rimettere in moto i negoziati sugli insediamenti.
Le colonie sono nate negli ultimi quarant’anni, in seguito alla Guerra dei Sei Giorni del 1967. Occupano gli altipiani del Golan, il 3% della Cisgiordania, Gerusalemme est e la cosiddetta West Bank. Continuano a crescere, nonostante gli appelli congiunti delle organizzazioni internazionali e gli abitanti sono almeno 270 mila per 121 insediamenti autorizzati e quasi un centinaio al limite della legalità.
La Casa Bianca spinge per passare all’azione, per Obama le discussioni sul conflitto israelo-palestinese «devono iniziare presto e il loro successo dipenderà dalle capacità di entrambe le parti per agire con senso di urgenza».
Israele afferma di volere la pace, ma non ha alcuna intenzione di rinunciare al «diritto di difendersi». Alla richiesta di Obama di uno stop lungo un anno Netanyahu alza le mani e pone le condizioni per procedere con la trattativa: i lavori per le 2.400 case attualmente in costruzione devono essere portati a termine e Gerusalemme est deve essere tenuta fuori dai negoziati. La richiesta più incombente di Tel Aviv però è il riconoscimento da parte dell’Autorità nazionale palestinese delle radici ebraiche dello Stato di Israele.
Abu Mazen, a capo dell’Anp, chiede che vengano rispettati gli accordi internazionali: i coloni devono ritirarsi e Gerusalemme est non deve essere esclusa dalle trattative. Gli insediamenti dividono in quattro la Cisgiordania e per i palestinesi minacciano l’identità araba del 20% degli israeliani, valido motivo per opporsi al riconoscimento dell’ebraicità di Israele.
Dalle Nazioni Unite all’Unione europea, dalla Croce Rossa alla Corte penale dell’Aja, gli organismi internazionali si uniscono ai palestinesi verso un’unica soluzione al processo di pace: lo sgombero degli insediamenti che violano la Road Map, la Convenzione di Ginevra, gli accordi di Oslo del 1993 e la conferenza di Annapolis del 2007.
La partita arabo-israeliana si gioca con un arbitro d’eccezione, gli Stati Uniti, che sperano di guadagnare punti e acquisire un ruolo leader sul calderone mediorientale: l’America di Obama gioca la carta della diplomazia per non perdere i favori di entrambi i suoi interlocutori nella disputa. Frenare gli insediamenti e mettere fine al terrorismo, spronare l’aiuto e la collaborazione degli altri paesi arabi nel processo di pace: sfide possibili per gli States?