Si può essere stimati professionisti eppure irregolari. Ed essere così costretti ad abbandonare il paese in cui si è trovata la fortuna. È la storia di Vikas Kumar, ricercatore all’univeristà Bocconi di Milano. Trentadue anni compiuti da poco, una laurea in Economia e un master a Dehli, un PhD, l’equivalente di un nostro dottorato, a St. Louis. Referenza che non sono bastate ad evitare l’allontanamento dalla capitale brianzola.
Nel 2008 Kumar, che aveva già rinnovato una volta il permesso di soggiorno, da 2 anni, che allora era il massimo per un contratto di quel tipo, viene accettato a Stanford. Sarebbe dovuto rientrare alla fine di quell’estate. Ma il visto, nel frattempo, è scaduto. Da molti mesi. Nel corso dei quali la Bocconisi cerca di darsi da fare, in virtù del decreto legge uscito a gennaio 2008, secondo cui docenti e ricercatori stranieri ora possono ottenere un permesso che copra tutta la durata del contratto.
Ma l’ente che li assume deve iscriversi a un albo istituzionale, per poi avviare la procedura. Ebbene, l’albo è comparso sul sito del Ministero dopo 9 mesi. E fino ad oggi non sono risultati disponibili i moduli necessari. Vikas attende, ma alla fine non c’è niente da fare. E allora invia una lettera all’università milanese in cui spiega che si trasferira a Sidney. Una storia come tante in un paese che non riesce a trattenere i propri “cervelli” ed, evidentemente, nemmeno quelli altrui.