Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Franco Venturini sulla politica internazionale di Mosca. Lo riportiamo di seguito:
”I russi sono bravi in molti campi, ma in uno sono imbattibili: nel riuscire a passare dalla parte del torto anche quando hanno ottime frecce al loro arco.
È successo, l’estate scorsa, con la Georgia. Mosca e Tbilisi si provocavano reciprocamente da molti mesi, ma poi fu il presidente georgiano Saakhasvili, mentre il mondo intero guardava alle Olimpiadi di Pechino, a sbagliare i conti bombardando l’Ossezia del Sud e i suoi peacekeepers russi. Mosca non poteva stare a guardare, pena la perdita di ogni credibilità regionale e internazionale. Ma una volta superata con la mediazione europea la fase calda della crisi, il Cremlino avrebbe dovuto accontentarsi di un bottino già ricco. Invece, ha scelto di riconoscere l’indipendenza di Ossezia del Sud e Abkhazia. Con l’appoggio del solo Nicaragua. Contraddicendo la precedente indignazione per l’indipendenza del Kosovo. Mettendo in difficoltà i più disponibili tra i suoi interlocutori europei.
Qualcosa di analogo sta accadendo in queste ore nei messaggi che Medvedev e Putin (ma forse presto torneremo a dire Putin e Medvedev) stanno indirizzando al neoeletto Barack Obama. Il risentimento della Russia nei confronti dell’Amministrazione americana uscente è comprensibile. Malgrado il buon rapporto personale tra Bush e Putin, malgrado la lotta comune contro il terrorismo, malgrado i permessi di transito concessi dalla Russia verso l’Afghanistan, negli ultimi otto anni Mosca si è sentita vittima di una «strategia d’assedio» da parte statunitense. Prima la denuncia unilaterale del trattato Abm sulle difese missilistiche, poi l’estensione della Nato anche in territori ex-sovietici e la creazione di nuove basi militari ravvicinate (in Romania e in Bulgaria), poi ancora la volontà di far entrare Georgia e Ucraina nell’Alleanza Atlantica e — soprattutto — l’installazione di uno «scudo» anti-balistico in Polonia e nella Repubblica Ceca. Con gli Usa che sostengono di avere l’Iran nel mirino, e la Russia che si sente invece spiata e minacciata.
Non stupisce allora che tra Mosca e Washington la tensione abbia continuato a crescere, resuscitando persino approssimative ipotesi sul «ritorno della guerra fredda». Così come non stupisce che le ampie imperfezioni dell’autoproclamata democrazia russa, e l’uso dell’arma energetica da parte del Cremlino, abbiano avuto l’effetto di gettare olio sul fuoco.
Ma ora accade che Barack Obama abbia trionfalmente vinto le elezioni Usa, che manchino soltanto due mesi al suo insediamento alla Casa Bianca e che persistano, in attesa di opportune verifiche, le indicazioni emerse durante la campagna elettorale: posizione intransigente sulla integrità territoriale della Georgia (peraltro realisticamente irrecuperabile), e maggiore possibilismo sulla opportunità di schierare in Europa uno «scudo» anti- balistico la cui efficacia, tra l’altro, non è stata dimostrata.
Per il Cremlino si tratta di uno spiraglio non da poco, di una opportunità che andrebbe esplorata con la dovuta prudenza. E invece Medvedev che fa? Agita il bastone, rifiuta le proposte avanzate alla venticinquesima ora da Bush e annuncia che se Obama porterà a compimento il progetto dello «scudo» la Russia risponderà dislocando i nuovi Iskander nell’enclave di Kaliningrad.
Missile contro missile nel cuore della Nato e della Ue, con l’aggravante che se i vettori russi fossero dotati di testata nucleare salterebbe, dopo il trattato Cfe sulle forze convenzionali, anche l’Inf che vieta gli euromissili. E per non lasciare dubbi sulle sue intenzioni strategiche il Cremlino, mentre con una mano mostra il pugno di ferro, con l’altra torna a chiedere di negoziare un nuovo assetto complessivo della sicurezza europea. A Mosca non sembrano aver capito che intimorire, anche in sede di «risposta», non è sempre la tattica migliore. Obama, eletto su una linea internazionale più multilaterale e dialogante di quella di Bush, tutto può fare durante la transizione e il primo periodo di presidenza meno che mostrarsi debole, arrendevole o condizionabile da minacce esterne. Il risultato è che se anche avesse già deciso di archiviare lo «scudo», dopo i moniti di Medvedev dovrà come minimo rinviare la mossa. Eppure l’occasione di costruire un miglior rapporto Usa-Russia esiste, anche perché i principali governi europei (Berlusconi in testa) spingono in questa direzione e daranno il buon esempio domani a Nizza. Ma per raggiungere l’obbiettivo serviranno scambi di concessioni che Mosca non sembra contemplare. E servirà, soprattutto, che il Cremlino non dia ragione alla caricatura e non si muova con il garbo di un orso”.