La Stampa pubblica un editoriale di Giovanna Zincone sul problema delle morti bianche intitolato ”Peggio della Guerra”. Lo riportiamo di seguito:
”Mineo viene dopo Molfetta, dopo la Thyssen a Torino, dopo Porto Marghera, dopo tante altre tragedie finite in prima pagina, dopo le molte di più che sono avvenute in sordina.
Non riusciamo a ricordarle tutte perché sono troppe. Uccide più il lavoro della guerra. Dall’aprile 2003 all’aprile 2008 sono caduti in Iraq circa 4.000 soldati americani, ma i caduti sul lavoro in Italia sono stati di più: erano stati circa 1260 nel solo 2007. «Circa» in questi casi è un’espressione impudica, ma necessaria. Le statistiche che riguardano gli incidenti mortali sul lavoro sono approssimative: sia perché alcuni lavoratori, che sembrano sopravvivere sul momento, purtroppo non ce la fanno in seguito, sia perché alcune morti sul lavoro possono essere mascherate con incidenti di altra origine. Ma le statistiche in questi casi suonano comunque irritanti, offensive. Chi ha incontrato le famiglie delle vittime – mogli, mariti, madri, figli – capisce che una sola di quelle morti è una morte di troppo. Si tratta di una perdita speciale, che si carica di un dolore in più. Si lavora per vivere, si lavora per far vivere decentemente i propri cari. Una volta una madre disperata mi ha detto: «Non dovevo mandarlo a lavorare, ma ha insistito, e di quei soldi la famiglia aveva bisogno». Il bisogno spinge ad accettare lavori difficili, rischiosi, spinge a sfidare la stanchezza, a trascurare la propria inesperienza. La fatica, la fretta possono indurre a trascurare necessarie misure di sicurezza. Non basta sapere che gli incidenti sul lavoro diminuiscono, nemmeno che diminuiscono quelli mortali, come alcune fonti statistiche sembrano dire; dobbiamo agire per evitarne sempre di più, per contenere al massimo il danno.
Per questo servono regole efficaci, una vera formazione dei lavoratori, sanzioni effettive, e soprattutto controlli, perché le norme siano rispettate. Servono anche incentivi, alleggerimenti sui contributi per i datori di lavoro più virtuosi. Su questa via si era mosso il ministro Damiano, ma negli ambienti imprenditoriali la sua riforma è stata considerata per alcuni aspetti troppo pesante. Non sono in grado di valutarla con la dovuta competenza.
Mi sembra però saggio e opportuno l’invito rivolto alla classe politica dal Presidente della Repubblica, che su questo problema si è impegnato con grande passione civile fin dall’inizio del suo mandato. Nel suo discorso in occasione della festa del Primo Maggio, ha ricordato che ci sono in Italia questioni che «possono essere affrontate attraverso la condivisione e quindi la continuità delle necessarie linee di intervento, al di là delle pur fisiologiche contrapposizioni politiche e dell’alternarsi delle maggioranze e dei governi». Lavoratori che si feriscono, che rimangono invalidi, che perdono la vita rappresentano certamente un problema nazionale, che richiede una riflessione collettiva, uno sforzo congiunto dei partiti e delle parti sociali. Mi pare che l’intenzione sia stata da tutti più volte manifestata, passiamo concretamente ai fatti. Le riforme che riguardano la flessibilità del lavoro non dovrebbero trascurare la sicurezza per chi lavora e per chi interagisce con i lavoratori: per il paziente di un medico assonnato, per chi incrocia un camionista esausto. Se 60 ore vi sembrano poche, provate voi a essere vigili dopo una settimana così”.
