Il vertice Onu sul razzismo, ribattezzato Durban II, è stato preceduto da mesi di polemiche e si apre a Ginevra- per sfortunata coincidenza nel giorno in cui 120 anni fa nacque Adolf Hitler – all’insegna delle divisioni. Non ci saranno gli Usa, la Germania e l’Italia e in generale tutto il mondo occidentale vive con grande imbarazzo l’appuntamento. Motivo? La possibilità che si trasformi in una tribuna contro Israele e in un passaporto ideologico-culturale per le religioni di Stato, sharia compresa. Il tutto sotto l’impulso dei paesi arabi che diventano parametro dei diritti umani, diritti che nei loro confini sono in genere molto poco garantiti.
Dopo infiniti e vani tentativi di concordare un testo che potesse soddisfare tutti e soprattutto cancellare i sospetti di antisemitismo che gravano sulla manifestazione fin dal suo esordio, appunto a Durban, nel 2001, la questione israeliana è ancora aperta. Nella bozza circolata nelle settimane scorse, era scritto che la politica nei territori palestinesi, costituisce «una violazione dei diritti umani internazionali, un crimine contro l’umanità e una forma contemporanea di apartheid». Israele veniva accusato di «tortura, blocco economico, gravi restrizioni di movimento e chiusura arbitraria dei territori» e definito «una minaccia per la pace internazionale e la sicurezza»
Molto è stato riveduto e la bozza di accordo passata da 750 a 143 paragrafi e smagrita fino a 16 pagine, ribadisce genericamente l’impegno a «prevenire, combattere e debellare il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza», ricorda l’Olocausto e afferma che tratta degli schiavi, apartheid, colonialismo e genocidio non devono essere dimenticati.
È stato anche limato il capitolo sulla “diffamazione delle religioni” accogliendo (in parte) la richiesta occidentale di non limitare il diritto alla libertà di espressione. Il documento si limiterà a condannare chi attacca «gli individui in base alla loro religione o credo religioso» che, secondo il ministro degli esteri olandese, è un modo per subordinare i diritti dell’uomo al potere dei religiosi.