È preoccupata la Casa Bianca, è preoccupato il Pentagono, è preoccupato il Congresso e le forze speciali Usa sono state mobilitate per una eventualità che fa tremare le vene e i polsi.
Ovvero che nel caos in cui si trova il Pakistan i talebani possano impadronirsi del suo massiccio e crescente arsenale nucleare. Non è un’ ipotesi irrealistica, anche se nelle ultime settimane l’esercito pakistano ha cominciato ad impegnare duramente i ribelli, cosa che, nonostante le spronate degli strateghi militari americani, per troppo tempo ha tralasciato di fare. Ma perché i militari pakistani si decidessero finalmente a lanciare un’offensiva, i talebani sono dovuti penetrare nel distretto di Buner, a 90 km dalla capitale, Islamabad.
Sono stati respinti nella adiacente Valle di Swat, ma non completamente, e furiosi combattimenti sono in corso con centinaia di migliaia di profughi che cercano la fuga sotto le bombe.
Notizie dal fronte fornite dai pakistani ricordano un po’ quelle dei portavoce militari americani nei briefing tenuti all’ Hotel Rex di Saigon durante la guerra in Vietnam, chiamate dagli inviati di guerra le ”five o’clock follies”, ”le follie delle 5”, ora in cui venivano forniti body-counts che se fossero stati veri gli americani la guerra l’avrebbero vinta e non persa. Anche i portavoce pakistani forniscono body-counts impressionanti, ma gli americani ci credono poco.
I dubbi sulla capacità delle forze armate pakistane – pur foraggiate a suon di miliardi di dollari dagli Usa – di sconfiggere, o per lo meno fermare, i talebani, abbondano. Li ha espressi senza reticenze il Wall Street Journal nei giorni scorsi in una lunga corrispondenza-analisi dei suoi inviati nel Paese islamico.
In una corrispondenza intitolata «Il Pakistan di fronte ad una prova che ha già spesso mancato di superare», il giornale scrive che «è ben lontano dall’essere chiaro se questa volta l’esercito farà meglio di quanto accaduto in passato, quando è stato fermato dai talebani che si sono assicurati il controllo della Valle di Swat e costretto Islamabad ad un accordo di pace, poi franato dopo l’invasione di Buner, che ha inorridito gli americani».
Il fatto è che le forze armate pakistane sono addestrate per combattimenti di carri armati e artiglieria contro i nemici indiani sulle pianure del subcontinente, ma poco e male nelle campagne contro i talebani sui terreni accidentati delle montagne nel nordovest del Paese.
L’amministrazione di Barack Obama – contrariamente a quella precedente di George Bush del tutto concentrata sull’Iraq e totalmente distratta rispetto ai problemi del fronte Afghano e Pakistano – ora vede i talebani troppo vicini a Islamamad.
Qui sono concentrati i siti nucleari pakistani, e l’esercito pakistano appare allo stesso tempo troppo lontano da quella che Washington vorrebbe poter considerare una insuperabile diga a difesa di quei siti, che tra l’altro sono, almeno in parte, avvolti dal mistero. I pakistani non hanno infatti mai voluto rivelare agli Stati Uniti l’ubicazione di quei siti, anche se svariati analisti ritengono che i servizi Usa li abbiano, almeno in parte, identificati.
La segretezza mostrata da Islamabad – ed è incredibile l’accettazione di questa scelta da parte degli Stati Uniti – è sempre stata dovuta al timore che, qualora la situazione nel Paese si deteriorasse ulteriormente, e i talebani riprendessero ad avanzare, gli americani potessero decidere un blitz delle forze speciali che, in caso di crisi o di non crisi, riceverebbero l’ordine di scovare i siti e neutralizzarli, tanto per essere sicuri una volta per tutte che non cadano in mani sbagliate.
Secondo i media statunitensi, i timori di Islamabad potrebbero ora diventare realtà. Commando, scelti tra i migliori delle forze speciali Usa, sono infatti già in Pakistan, pronti a scattare se arrivasse il via libera da Washington.
Il problema non è un fatto banale, di nessuna importanza, in un rapporto bilaterale tra Stati Uniti e Pakistan: è un problema che riguarda tutto il mondo, perché è difficile pensare cosa potrebbe succedere se le bombe atomiche finissero in mano a fanatici ultra religiosi del tipo dei talebani.
