Il Partito popolare europeo, nonostante la netta vittoria politica, perde qualche decimo di punto percentuale passando dal 36,7 al 36% dei voti a causa della defezione dei conservatori britannici e del partito euroscettico ceco di Mirek Topolanek.
I socialisti registrano un calo netto, dal 27,6 al 22%, perdita che potrebbe essere solo in parte compensata dall’ingresso del Pd nel nuovo gruppo Pse-Democratici, che riporterebbe i riformisti attorno al 25%. Il liberali calano dal 12,7 al 10,9% ma potrebbero recuperare qualche formazione ancora non schieratasi.
I verdi crescono dal 5,5 al 6,9.
L’estrema sinistra passa dal 5,2 al 4,5.
La destra anti-europea dell’Europa delle Nazioni registra una apparente lieve flessione (dal 5,6 al 4,8), ma in realtà crescerà grazie alla confluenza dei conservatori di Cameron e di altre formazioni che ora sono accorpate in quel 12% che ancora non ha scelto ufficialmente il proprio campo.
Il giorno dopo, il computo dei risultati quasi definitivi delle elezioni europee mostra un Parlamento che riflette solo in parte la trasformazione decretata dagli elettori. E che dunque dovrà rinnovare quelle strategie di alleanze e di convergenza tra i grandi gruppi politici che sole possono rendere gestibile l’assemblea. I popolari sono stati i primi a prenderne atto: “Poiché nessun gruppo è in grado di avere la maggioranza – ha osservato Wilfied Martens, presidente del Ppe – dovremo stabilire alleanze con i liberali e i socialisti”.