Dopo un mese e undici giorni di sciopero della fame, prima di morireĀ il 5 settembre scorso, Mbarka Sami Ben Garci scrive una lettera dal carcere di Pavia alla donna che avrebbe voluto sposare. Il giorno del suo matrimonio non ĆØ mai arrivato, il detenuto tunisino condannato per spaccio e violenza sessuale, ha lasciato definitivamente la sua cella.
Pochi giorni prima del decesso, il 27 agosto, Sami impugna una penna e dĆ l’ultimo saluto alla sua amata: Ā«Ciao amore, speriamo che tu stai bene, tanti auguri per il Ramadan. Io sto morendo. Sono dimagrito troppo, credimi, non riesco neanche ad alzarmi dal lettoĀ».
Non vuole aiuto, si ĆØ lasciato andare, ha cominciato lo sciopero della fame per gridare a tutti la sua innocenza. I compagni di cella che hanno seguito la sua agonia hanno scritto al legale di Sami, l’avvocato Aldo Egidi: Ā«Era diventato come un prigioniero in un campo di concentramento, vomitava acidi e sveniva davanti agli occhi di tutti. Veniva aiutato da noi detenuti a fare la docciaĀ».
Egidi si era rivolto più volte alla direttrice del penitenziario, Iolanda Vitale,Ā per denunciare le condizioni di vita del suo cliente, ma le risposte erano sempre rassicuranti: Ā«La salute del suo assistito ĆØ costantemente monitorata dal personale medicoĀ». L’avvocato era riuscito ad ottenere solo il ricovero in ospedale, ma tre giorni dopo Sami ĆØ morto.
La lettera del tunisino sarĆ registrata agli atti della Procura di Pavia che sta indagando per omicidio colposo.
