di Archangel
Michele, un ventiquattrenne italiano che per alcuni mesi ha studiato in Cina e ha tenuto il suo blog Michele in Cina, descrive così il potere banale, quotidiano, avvolgente ed efficace della censura di regime:
”Non è stato facile mandare avanti questo blog durante i miei ultimi giorni a Pechino. Soprattutto, non è stato facile trovare la pazienza per scrivere due righe, caricare una foto (e riuscire a pubblicarla) nella speranza di non trovare la pagina bianca subito dopo aver cliccato su “pubblica post”. La censura è snervante, dissuasisva, efficace. Tutto ciò di cui hai bisogno funziona poco e male, la normalità è un’eccezione e a poco a poco riesce a toglierti la voglia di comunicare con il mondo. Io che ormai ero alla fine, la censura l’ho lasciata vincere, preferendo girare per la città piuttosto che cercare, per ore e ore, l’ennesimo espediente da hacker sfigato dell’ultim’ora. Poi l’hanno scoperta anche i giornalisti stranieri. E perfino il Comitato Olimpico Internazionale, che forse avrebbe potuto farsene un’idea già da un po’. C’e stata anche una dura protesta di Amnesty International di cui dava conto Federico Rampini, nel suo Estremo Occidente, su Repubblica.it, il diario più approfondito e competente di quanto avviene nella capitale cinese in questi giorni. Le dichiarazioni del Cio e di Amnesty hanno dato vita una lunga scia di proteste e denunce sul web, che alla fine hanno convinto a revocare quasi tutta la censura su Internet”.
Fin qui Michele. Ora alcune considerazioni: ma davvero ci si aspettava che il regime cinese avrebbe colto l’opportunita’ di allentare la presa in occasione delle Olimpiadi? Il Comitato Olimpico Internazionale – avviluppato da enormi e condizionanti interessi commerciali come da una piovra – e i Paesi che hanno insistito per la Cina come sede dei Giochi lo sapevano benissimo e se non lo sapevano vuol dire che sono babbei creduloni. Poi e’ scoppiata la grana dei 20 mila giornalisti accreditati che non potevano usare Internet perche’ il governo stava oscurando siti a man bassa. Ma davvero qualcuno credeva che i giornalisti avrebbero avuto mano libera? Tutto era largamente prevedibile, ed i media internazionali avranno terribili gatte da pelare per riferire sull’evento. I giornalisti, pero’, sono una genia piuttosto dura da recintare e se devono coprire qualcosa lo fanno, a volte anche a costo di rimetterci la vita. Basta guardare le statistiche dei loro morti nel mondo mentre esercitavano il loro lavoro. Durante la repressione cinese a Lhasa fece grande impressione in Occidente la foto ”rubata” di un fotografo giapponese disteso privo di vita sull’asfalto in una pozza di sangue. I soldati cinesi gli avevano sparato addosso perche’ stava fotografando una protesta di monaci buddhisti. C’e’ chi si chiede se una cosa del genere potrebbe accadere anche durante i Giochi, qualora esplodessero proteste o per qualsiasi altra ragione. Militari e poliziotti di regime hanno il grilletto facile: prima sparano e poi chiedono ”chi va la’?” Tra l’altro a Pechino, avvolta da un fitto smog maleodorante, la visibilita’ e’ molto bassa e se si sparasse sarebbe difficile dire dove andrebbero a finire le pallottole. Su Internet gira un fotomontaggio dove si mostra un campo di gare circondato da filo spinato. Un’immagine pertinente. Ma molto tardiva.
