La Repubblica un intervista all’economista di Oxford Paul Collier sulla poverta’ nel mondo. La riportiamo di seguito:
”"Il Terzo Mondo si è ristretto". Un’affermazione, questa di Paul Collier, professore di economia all’università di Oxford, che può sembrare tranquillizzante. Ma non è così, spiega al pubblico del Festival dell’Economia di Trento. Perché quell’"ultimo miliardo", gli ultimi poveri rimasti sulla terra, diventano sempre più poveri. Non seguono lo sviluppo di Paesi come l’India e la Cina, su una strada virtuosa che li risolleva da una situazione che sembrava irrimediabile. Tutt’altro, "vanno alla deriva", spiega Collier. Il problema è che "i nostri sforzi hanno un effetto limitato, le strategie mirate ai Paesi in cui vive l’ultimo miliardo si perdono nella confusione generale". Sarebbe ora di "ridefinire il problema dello sviluppo come problema che riguarda gli abitanti delle aree più arretrate".
"Molti di loro non restano semplicemente indietro, stanno anche crollando", scrive Collier nel suo ultimo libro che s’intitola, appunto, L’ultimo miliardo – Perché i paesi più poveri diventano sempre più poveri e cosa si può fare per aiutarli. Ecco perché, a Trento (ma lo ha fatto anche come consulente di Blair e come direttore del Dipartimento per le ricerche della Banca Mondiale) Collier propone "un piano Marshall per l’Africa" e per gli altri Paesi in difficoltà . Naturalmente, tenendo conto che la situazione odierna dei poveri della terra è anche peggiore di quella europea di sessant’anni fa. Ma anche del fatto che "se le cose non cambiano, e in fretta, fra 40 anni il divario sarà semplicemente irrecuperabile".
Professore, molti economisti criticano l’intervento delle organizzazioni internazionali nei Paesi più poveri. Sembra che l’Occidente non sia stato in grado di contribuire al progresso di un continente come l’Africa. Meglio lasciare che questi Paesi trovino da soli le risorse per risollevarsi?
"C’è molto, invece, che possiamo fare. Se finora i contributi non hanno ottenuto risultati è perché l’Occidente non ha lavorato seriamente per offrire delle opportunità ai Paesi più poveri. Ci sono almeno quattro interventi per fare la differenza. Il modello è quello dell’intervento degli Usa in Europa alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’ultimo veramente compiuto verso Paesi esteri. La prima cosa sono gli aiuti economici".
In tutti questi anni non ci sono stati aiuti economici verso i Paesi più poveri?
"Sì, ma non in misura sufficiente. Dovrebbero essere più consistenti e coordinati. La seconda cosa è favorire l’export: ai tempi del Piano Marshall, gli Usa eliminarono le barriere doganali favorendo le esportazioni dall’Europa, lo sviluppo del commercio, e la nascita di quello che poi sarebbe diventato il WTO. Non è più il momento di combattere contro la globalizzazione, ma di far salire a bordo i Paesi emarginati".
La maggior parte di questi, tuttavia, vive anche una situazione politica di grande instabilità .
"Infatti a mio parere ci sono altre due condizioni necessarie per il loro sviluppo: una politica per la sicurezza, e la governance".
Si riferisce alle guerre?
"Alle guerre e alla mancanza di democrazia. Sono un forte ostacolo allo sviluppo. In questo i Paesi del G8 dovrebbero coordinarsi per essere d’aiuto. Un esempio concreto: a breve si terranno le elezioni in Zimbabwe. Non basta indire le elezioni per portare la democrazia in un Paese. Come andrà quel voto, dipende in larga misura dal numero di osservatori internazionali che verranno inviati e dalle loro capacità d’intervento. Non si tratta di colonialismo, nessuno vuole più avere un impero in Africa. Si tratta di prendersi le responsabilità che ci competono".
Nel suo libro parla anche di responsabilità individuale: non vuole ritrovarsi a dover dire a suo figlio, che ha sette anni, che non ha fatto quello che avrebbe dovuto.
"Se lasciamo che le cose vadano avanti in questo modo, i nostri figli si troveranno a vivere in un mondo pericolosamente diviso. Quello che tutti possiamo fare, anche chi apparentemente non ha voce in capitolo, è fare pressione su chi governa perché agisca a favore dei Paesi più poveri. Intervenire, formare un’opinione pubblica. Nelle democrazie moderne i politici non si sentono abbastanza motivati dai cittadini per agire a favore dei Paesi più poveri. Non siamo costretti a rimanere semplici spettatori. Il nostro sostegno al cambiamento può essere decisivo"”.
