A spoglio quasi ultimato Obama in Oregon ha conquistato il 58 per cento dei voti contro il 42 della Clinton mentre Hillary in Kentucky si è imposta in maniera schiacciante – 65 a 30 per cento – grazie al voto in massa della classe media bianca, come era già avvenuto in Pennsylvania, Indiana e West Virginia. Dei 101 delegati in palio in entrambi gli Stati Hillary ne conquista 47 e Obama 32, con 24 ancora da assegnare. Sono numeri che pesano nella corsa alla nomination perché Obama è arrivato a 1949 delegati – fra eletti nelle primarie e superdelegati – ovvero a meno di cento dal quorum di 2026.
Questi 1949 comprendono anche la maggioranza assoluta – 1627 – dei delegati eletti in primarie e caucus. Per questo nel discorso pronunciato nella notte a Des Moines ha detto "la nomination è in vista, l’America va verso il cambiamento, i democratici sono stanchi di essere divisi e vogliono unirsi per riconquistare la Casa Bianca". Ma anche Hillary, parlando a Louisville dopo il successo nelle urne, vanta un primato, quello del voto popolare: "Ho preso 17 milioni di voti, nessun altro candidato alla nomination democratica è mai riuscito a tanto". La Clinton è determinata a battersi nelle rimanenti tre primarie – il 1 giugno a Porto Rico, il 3 giugno in Montana e South Dakota – ed assicura che "alla fine la differenza fra noi sarà meno di cento delegati". Da qui la graffiante replica a Obama: "In queste condizioni deve essere il partito a decidere la nomination presidenziale".
Occhi puntati dunque su cosa avverrà a Washington il 31 maggio, quando il Comitato nazionale democratico – massimo organo del partito – si riunirà per decidere cosa fare dei delegati di Michigan e Florida, i due Stati che svolsero le primarie senza rispettare il calendario fissato dal partito e vennero dunque penalizzati con la cancellazione dei delegati alla Convention di Denver. Hillary, che fece campagna in entrambi gli Stati vincendo le primarie, punta a convincere il partito sulla necessità di ammettere i delegati a Denver.
Se dovesse riuscire, il quorum per la nomination si alzerebbe a 2209, complicando la strada per Obama. Ma l’atmosfera a Washington sta cambiando e Barack dispone di molti assi nella manica: il partito democratico sta discutendo di affidare a Paul Tewes, braccio destro di Obama, l’intera gestione della campagna finanziaria di autunno contro i repubblicani. Se così dovesse essere sarebbe il primo chiaro segnale dello schieramento della nomenklatura del partito contro Hillary Clinton. Dietro le quinte continuano intanto i contatti fra importanti esponenti delle due campagne, alla ricerca di un possibile compromesso.