Il fondo sovrano Qatar Investment Authority, forte di una dotazione pari a 62 miliardi di dollari, andrà a rilevare fra il 20 e il 25% del capitale di Porsche. Questo investimento va ad aggiungersi al 5,8% della banca inglese Barclays, l’8,16% del Crédit Suisse, il 15,37% della Borsa di Londra, il 6% del gruppo francese Lagardere.
In questo modo il Qatar continua a percorrere la via dell’integrazione, avviata quasi quindici anni fa dallo sceicco Hamad bin Khalifa Al Thani, con la forte influenza della sua seconda moglie, la favorita, Sheikha Mozah bint Nasser Al Missned. Ma oltre ad occuparsi di economia e finanza, la “sceicca” Mozah appare infatti come la grande ispiratrice di quei cambiamenti sociali e culturali che hanno cominciato a manifestarsi a partire dal 1995, quando lo sceicco Hamad ha preso il potere deponendo il padre, e che stanno trasformando il piccolo emirato in un “laboratorio” senza confronti in tutta l’area.
È lei che ha voluto a tutti i costi l’apertura di Al Jazeera, la più liberal delle emittenti mediorientali. È lei che guida Education City, il polo di studi universitari e di centri di ricerche dove tengono corsi prestigiosi atenei internazionali come le americane Mellon Carnegie e Cornell. Ed è lei l’anima di quella Qatar Foundation che in pochi anni è diventata un magnete in grado di attirare progetti e iniziative da tutto il mondo nel campo della cultura, delle arti, dell’architettura.
Il Qatar è una monarchia assoluta poco indulgente verso il dissenso, con tutto il potere nelle mani di una famiglia che si è fatta Stato, con la legge coranica che regola la sfera privata, dove però il milione e mezzo di sudditi gode del più alto reddito pro capite al mondo e ha assunto uno stile di vita assolutamente “occidentale”.
Sposatasi con lo sceicco Hamad nel 1977 a soli 18 anni, plurilaureata, madre di sette figli, la principessa Mozah s’è ormai ritagliata un ruolo da protagonista sul palcoscenico mondiale. Ad esempio il mese scorso a Parigi, durante la cerimonia in cui è stata accolta come membro permanente dell’Académie des Beaux Arts, ha fatto scalpore il suo intervento in cui citava l’esempio dell’artista arabo Zinyad, simbolo «del dialogo fra le diverse civiltà».