QUANDO DICHIARARSI RAZZISTI ERA RIPUGNANTE

di Arianna

In Italia siamo arrivati al punto in cui la gente ammette di apertamente esser diventata razzista e rimpiange gli anni Sessanta, quando l’Italia era degli italiani e non anche degli immigrati. Negli anni Sessanta se un italiano si fosse dichiarato razzista sarebbe stato letteralmente assalito dallo sdegno e dallo schifo dei suoi connazionali. All’epoca, infatti, l’idea di essere razzisti era ripugnante: troppo vicino il ricordo della Shoah e delle politiche razziali fatte dal Fascismo e dal Nazismo. Negli Anni Sessanta, nessuno – a parte pochi mentecatti seguaci di Hitler – avrebbe mai voluto associare il suo nome al termine "razzista". Oggi, nel XXI secolo, invece i razzisti in Italia non solo esistono ma sono anche fieri di essere razzisti, del tutto incapaci di tenere in considerazione ciò che accade in tutti i paesi ricchi e multirazziali. E’ stomachevole che gli italiani, popolo emigrato all’estero per almeno cent’anni, fino appunto agli anni Sessanta, esportando soprattutto mafia e lavoro, oggi sia razzista e possa pensare di opporsi al fenomeno globale della migrazione. E’ anche per la presenza DILAGANTE delle pulsioni razziste che è cominciata una nuova ondata emigratoria dall’Italia verso l’estero: siamo noi, nati negli anni Settanta, gli "stomaci in fuga", che qualcuno chiama "cervelli in fuga". Siamo quei plurilaureati che all’estero vengono coperti d’oro e di riconoscimenti professionali, mentre in Italia dobbiamo scendere in piazza perché la Gelmini non tagli i fondi alla ricerca. Pare si sia realizzato il famoso detto di Derek Bok, già preside di Harvard: "Se pensate che l’educazione sia costosa, provate l’ignoranza".

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