Roma/ Proteste per il caldo e il sovraffollamento a Regina Coeli e Rebibbia. Le donne ottengono celle aperte dalla mattina alla sera

Con il caldo in aumento continuano le proteste dei detenuti nei carceri italiani. Giovedì è stata la volta dei due istituti romani, Regina Coeli e Rebibbia.

Poco dopo l’ora di pranzo, con un caldo soffocante, nella terza e sesta sezione di Regina Coeli era tutto un risuonare di stoviglie e altri oggetti contro le sbarre delle celle, di urla di detenuti, di bombolette di gas fatte scoppiare.

Nello stesso momento, all’altra parte della città, nel carcere di Rebibbia un’altra protesta era in atto, anche se più pacifica: le detenute della sezione femminile hanno chiesto e ottenuto, a causa del gran caldo, l’apertura delle celle non solo durante l’«orario della socialità» ma anche dalla mattina alla sera e hanno anche ottenuto l’accesso libero alle docce tutto il giorno.

Mercoledì notte le detenute di Rebibbia avevano avuto il permesso di non rientrare in cella dalle 23 alle 3 per «protestare pacificamente contro le gravi condizioni di detenzione dovuto al sovraffollamento».

Luca Gramazio, vicecapogruppo Pdl del consiglio comunale di Roma ha annunciato di voler presentare alla riapertura dei lavori in aula Giulio Cesare «una mozione affinchè il comune di Roma sensibilizzi tutte le autorità competenti a porre in essere ogni misura atta a contribuire al più presto al miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri romane».

Gramazio ha difeso il progetto di costruzione di nuovi padiglioni all’interno delle carceri esistenti. «Nel frattempo, però – ha aggiunto -, non possiamo trascurare l’urgenza di rendere più umane le condizioni di tutti i detenuti e di trovare risposte incisive e immediate alle gravi carenze di organico all’interno degli istituti».

Di tutt’altro avviso don Piersandro Spriano, cappellano a Rebibbia, intervistato dalla Radio vaticana. Il piano di costruzione di nuovi istituti è, ha detto, «una misura che non contrasta nulla: per costruire carceri ci vogliono anni e anni; ne abbiamo già costruiti e sono lì, come monumenti inutili, perché poi non ci sono i soldi per riempire le carceri delle strutture necessarie, di personale di custodia, di operatori dei trattamenti».

Per il sacerdote, occorre «mettere mano al Codice penale, alla depenalizzazione dei reati perchè non si può immaginare che tutto debba essere semplicemente ‘punito’ con il carcere».

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luiss_vcontursi