In una città alle pendici degli Urali, Chelyabinsk, apre un concessionario della Mercedes. Con tanto di festa kitsch con ballerine seminude e sosia di Vladimir Putin a promettere “sostegno”. Un fatto, che è l’emblema delle contraddizioni della nuova Russia.
Il progetto della concessionaria, in realtà, risale ad un anno fa, quando, col petrolio oltre i 100 dollari al barile, l’economia del paese di Putin segnava una crescita annua dell’8 per cento. E anche Chelyabinsk, nota durante il regime come Tankograd, città dei carri armati, smessi i panni del semplice distretto industriale, si arricchiva di alberghi e ristoranti.
Un anno dopo, però, lo scenario è diverso: crollo della produzione industriale (-15%) e dell’economia (-9.5% solo nei primi tre mesi del 2009). Cifre che indicano una crisi grave ma ancora non avvertita fino in fondo in Russia.
Valery Gartung, proprietario dell’autosalone e parlamentare, non si fa illusioni sul momento: «Adesso non comincerei neppure a costruirlo. Ma non potevo neppure lasciarlo a metà». Gartung, comunque, si consola con la proprietà di un’industria pesante nell’ex centro minerario di Kopeisk, vicino a Chelyabinsk. Fabbrica in cui il parlamentare ha iniziato come operaio ai tempi del regime. E che ora è messa alle strette dalla crisi. Il principale cliente, infatti, è una delle aziende più indebitate di tutta la Russia. L’unica speranza, a questo punto, è aprire il prima possibile al mercato estero. E il figlio di Gartung, che gestisce la fabbrica di famiglia, ha già un contratto con la compagnia ferroviaria tedesca Deutsche Bahn.
Il principale problema, per l’economia russa, è la difficoltà di accesso al credito. Neppure massicce immissioni di denaro da parte delle banche, per ora, hanno prodotto i risultati sperati. Così cittadini, piccoli e medi imprenditori si arrangiano, ricorrendo anche al baratto. Alla fabbrica di trattori di Chelyabinsk, per esempio, è stato offerto l’equivalente di 3.5 di rubli per un macchinario. Transazione non completata solo perché il latte era scaduto.
La crisi del credito, è legata a due aspetti: assenza di un mercato finanziario interno e fallimento delle politiche anti-inflazione. Non solo: gran parte dei soldi piovuti in Russia negli ultimi anni sono in forma di prestito e non di investimento. Il governo di Mosca, poi, ha aumentato del 40% la spesa pubblica senza risolvere i due grandi problemi del paese, infrastrutture fatiscenti e crescita esponenziale della corruzione.
Risultato? Inflazione quasi al 15%. Nelle ultime settimane, qualcosa sembra muoversi, grazie alla crescita del rublo che ha prodotto un lieve calo inflattivo. Ma è solo la punta dell’iceberg: alla Russia serve continuità. Il programma anticrisi del Cremlino, in realtà, è pieno di buone intenzioni: modernizzazione, spesa responsabile, competitività. Attuarlo, però, significherebbe smantellare completamente il sistema politico del Paese.
*Scuola superiore Giornalismo Luiss