Fino a qualche giorno fa, quella del 2009, era l’estate più fredda degli ultimi anni in Russia. Ora, però, si è surriscaldata improvvisamente a causa di un improvviso dibattito su una delle figure più controverse del Paese, quella di Josif Stalin.
A dare il la alla polemica, l’improvvisa comparsa sul muro della stazione della metropolitana moscovita di Kurskaja, una delle più frequentate, di una frase dell’inno originale dell’Unione Sovietica: «Ci ha fatto crescere Stalin e ci ha educati a essere fedeli al popolo, al lavoro e alle grandi eroiche imprese».
Un’apparizione che non ha nulla di casuale. Sergei V. Mikhalkov, infatti, l’uomo che ha composto le liriche di tutte e tre le versioni dell’inno sovietico e russo (quella stalinista, quella post stalinista e quella post comunista) è morto a 96 anni giovedì 27 agosto.
E, a poche ore dalla morte dell’autore, la ricomparsa della frase su Stalin ( il testo era parte integrante della stazione originaria ma era stato cancellato con la denuncia dei crimini del dittatore), in Russia ha sollevato un putiferio.
Sia chiaro: la scritta è solo un pretesto per una posta in gioco molto più alta: da qualche anno, infatti, nel paese è in corso una sottile battaglia per la riabilitazione della figura di Stalin.
Una battaglia in cui Vladimir Putin gioca un ruolo decisamente ambiguo. Da un lato il presidente ha introdotto nelle scuole lo studio di Arcipelago Gulag, libro dello scrittore Alexander Solzhenitsyn che denunciava l’orrore dei campi stalinisti, dall’altro però, ha promosso libri di testo in cui si parlava della figura del dittatore come di uno statista capace e un manager straordinario nel gestire il Paese ai tempi della crisi.
Non più tardi del 7 luglio, poi, la Duma (il parlamento russo), ha approvato un documento in cui si sottolineava la «volontà indefettibile delle autorità russe di difendere la nostra storia sovrana contro ogni attacco esterno».
Una risposta per nulla diplomatica ad una risoluzione dell’Ocse di qualche mese prima in cui Hitler e Stalin erano equiparati per «genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e violazione dei diritti umani». Nell’ex Unione Sovietica, però, la seconda Guerra Mondiale è un terreno quasi sacro: i russi la chiamano la Grande Guerra Patriottica e molti sono convinti che Stalin, di fatto, abbia salvato il Paese.
La riabilitazione del dittatore, in Russia, sembra procedere a grandi passi: in un gioco televisivo, Stalin si è classificato al terzo posto nella classifica degli eroi nazionali.
La “metropolitana nostalgica”, però, ha sollevato un’enorme mole di polemiche. Se Dmitry Gaev, il direttore della metro moscovita è rammaricato perchè «manca ancora un elemento per riportare allo splendore originario la stazione, il grande busto di Stalin», ci sono moltissime persone che protestano.
A cominciare da numerose associazioni di difesa dei diritti umani che parlano di un segnale preoccupante perchè la glorificazione estetica della stazione implicherebbe una sostanziale riabilitazione del dittatore.
Durissimo Arseny Roginsky, presidente dell’associazione Memorial, nata negli anni ’80 per elencare i crimini della dittatura comunista in Russia: «Siamo davanti alla restaurazione del mito di Stalin. Una mitizzazione pericolosa perchè sottile, spacciata per un recupero dello stile architettonico dell’inizio del ventesimo secolo».
«Vorrei vedere» ha concluso Roginsky, «che cosa succederebbe in Germania, se restaurando qualche monumento architettonico avessero ripristinato il nome di Hitler o la svastica».