«Era una settimana che ci provavo». È questa l’unica frase che il padre di Sanaa El Ketawi Dafani si è lasciato sfuggire dopo aver incontrato il giudice, con cui si è avvalso della facoltà di non rispondere. Resterà in carcere il marocchino aiuto cuoco che ha ucciso la figlia perché ossessionato dall’idea che la figlia potesse andare a vivere con il fidanzato italiano.
La frase gli scappa mentre il maresciallo dei carabinieri gli mette le manette ai polsi per riportarlo in carcere. Siamo a Montereale Valcellina, vicino Pordenone, qui la sera di martedì 15 settembre si è consumata la tragedia: Sanaa Dafani, 18 anni, marocchina ma cresciuta in Italia, si era innamorata di un italiano; il padre El Ketawi Dafani, 45 anni, l’ha sgozzata perché non sopportava che la figlia fosse andata a vivere con un uomo più grande di lei e neppure musulmano.
Il giudice ha convalidato il fermo di El Ketawi Dafani: il padre di Sanaa verrà trattenuto in carcere con l’aggravante di aver «agito con sevizie e crudeltà» e quindi non potrà beneficiare di alcun sconto di pena. Forse la difesa chiederà la perizia psichiatrica ma finora l’avvocato non ha deciso.
Intanto, sabato 19 settembre a Pordenone si svolgerà la cerimonia funebre: sarà l’Imam della città friulana, Mohamed Ouatik, a lavare la salma come prevede la tradizione musulmana: la sepoltura avverrà a Ramat in Marocco. Ha spiegato l’Imam: «Seguendo scrupolosamente il precetto, il defunto verrà rivolto verso la Mecca».
Dalla storia emergono dei particolari che confermano come l’uomo provasse da tempo ad uccidere la figlia: la scelta di Sanaa lo tormentava da mesi, tornava a casa dal lavoro a ora tarda e taceva, anche con la moglie. Restava a camminare in silenzio su e giù per la cucina, o andava al “Roxy bar” a farsi una birra, sempre solo ed ossessionato da questa storia.
Anche la moglie Fatna, 39 anni, che ha dichiarato di aver perdonato il gesto del marito dice: «Dormiva poco, restava sveglio fino alle 4 di mattina; era sempre arrabbiato, non mangiava e fumava sempre».
