La Repubblica pubblica un’intervista al presidente francese Nicolas Sarkozy ad un anno dalla sua elezione. La riportiamo di seguito:
”Monsieur le Président, è trascorso un anno dalla sua elezione: l’esercizio della Presidenza è così come lo aveva immaginato?
"Un anno fa, i francesi mi hanno dato mandato di riformare la Francia. In un anno, con il governo di François Fillon, abbiamo avviato un processo di modernizzazione che non ha precedenti nel nostro paese, e che investe tutti i settori. Nei prossimi quattro anni andremo avanti con queste riforme. È mia intenzione realizzare tutto quello che ho annunciato, perché è per questo motivo che i francesi mi hanno eletto e perché mi sono impegnato a farlo davanti a loro. Certo, riformare un paese non è mai un’impresa facile. Ma mi ero preparato. Non sono stato eletto per essere popolare, ma per agire. L’unica cosa che conta per me è che tra quattro anni i francesi si dicano: ha fatto quello che aveva detto, ha riformato la Francia.
Oggi sarò a Roma per prendere parte ai lavori della conferenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura sulla sicurezza alimentare. In tre anni, il prezzo delle derrate agricole è raddoppiato. Questa è una sfida mondiale, che dobbiamo affrontare insieme. Se non ne saremo capaci, vorrà dire che la povertà avrà guadagnato terreno, che gli speculatori avranno imposto la loro logica di profitto a breve termine e che il mondo – già segnato dalle disuguaglianze – sarà ancora meno giusto domani, poiché questa crisi colpisce innanzitutto i paesi più poveri. Vogliamo davvero vivere in una società di quel tipo, con tutti i rischi, inclusi quelli geopolitici, che ne deriverebbero?
Per parte mia, mi rifiuto di rassegnarmi ad una simile prospettiva. La Francia è uno dei principali esportatori mondiali di prodotti agricoli. Perché ha sempre ritenuto che l’agricoltura fosse un settore economico strategico, proiettato verso il futuro e portatore di valori moderni. Perché è da sempre favorevole a un’agricoltura di produzione e di qualità , che consenta all’agricoltore di vivere dei frutti del suo lavoro. Perché, allo stesso tempo, si è sempre adoperata per garantire la tutela della qualità ambientale e dell’equilibrio dei territori. Su tutti questi punti, ha visto giusto. Bisognerà tenerne conto nel quadro delle discussioni condotte a livello europeo sul futuro della Politica Agricola Comune e in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio. In questo campo, come in altri, francesi e italiani condividono gli stessi interessi.
A Roma, incontrerò anche il nuovo Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi: al di là delle importanti riforme da avviare nei nostri rispettivi paesi, affronteremo soprattutto i principali temi che saranno all’ordine del giorno della Presidenza francese dell’Unione e, naturalmente, diverse questioni di attualità internazionale".
Dal 1° luglio, la Francia assumerà la Presidenza dell’Unione europea. Le riflessioni che sta attualmente conducendo in questo contesto la portano a pensare che l’Europa diventerà una potenza politica ?
"L’Europa in cui io credo è fondamentalmente politica, il che significa che non si limita ad essere un grande mercato ma che i suoi membri condividono valori, un’ambizione e progetti comuni. È con questo spirito che ho definito le priorità della presidenza francese, che si articolano intorno a tre grandi sfide e un’ambizione.
Prima sfida: dare risposte concrete ai mutamenti climatici. In che modo? Innanzitutto, raggiungendo un accordo tra europei sulle misure concrete che ci consentiranno di ridurre le emissioni di gas a effetto serra almeno del 20% entro il 2020, senza con ciò penalizzare le nostre industrie nella competizione internazionale. In secondo luogo, promuovendo le energie rinnovabili e il risparmio energetico. Infine, rafforzando la nostra sicurezza energetica.
Seconda sfida: dare una risposta europea alla questione migratoria. L’immigrazione è necessaria ma deve essere controllata. A tal fine, abbiamo bisogno di un patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, che fissi alcuni grandi principi comuni, tra cui il rifiuto delle regolarizzazioni di massa e il potenziamento di Frontex. Sono lieto di osservare un’ampia convergenza di vedute con l’Italia, per lavorare su questa questione in ambito europeo.
Terza sfida: rafforzare la nostra politica di sicurezza e di difesa. È necessario realizzare una difesa europea più operativa, aggiornando la strategia europea di sicurezza del 2003 e esortando tutti i paesi dell’Unione ad incrementare i rispettivi sforzi nel campo della difesa, rinnovando al tempo stesso il nostro legame con la Nato. Queste due azioni sono complementari.
Infine, la nostra ambizione è quella di dare corpo a quel bel progetto che è l’Unione per il Mediterraneo. Mi compiaccio dell’impegno dell’Italia al nostro fianco per il successo di questa iniziativa. È una grande idea, partire da progetti concreti di cooperazione tra paesi della sponda Nord e paesi della sponda Sud, per creare una dinamica virtuosa di lavoro in comune. Il 13 luglio, a Parigi, daremo ufficialmente il via a questo progetto di interesse comune per i nostri due paesi, per l’Europa e – al di là dell’Europa – per tutto il bacino del Mediterraneo.
Come vede, si tratta di obiettivi ambiziosi, ma senza ambizione non si va da nessuna parte. E se l’Europa non avrà una grande politica, non avrà più voce in capitolo nel mondo del futuro. Durante la nostra presidenza dell’Unione, avremo bisogno dei nostri amici italiani per aiutarci a portare avanti questi progetti e fare avanzare l’Europa, e so che potremo contare su di loro".
A quale linea politica adottata da un paese europeo si sente più vicino?
"Da un punto di vista strettamente politico, osservo con la massima attenzione ciò che accade un po’ ovunque in Europa. Ma non credo di sorprenderla dicendo che, al di là delle etichette politiche, ciò che mi interessa è prima di tutto la volontà di riforme. I leader a cui mi sento più vicino sono quelli che vogliono modernizzare il loro paese e fare dell’Europa la potenza di domani.
Sono molto felice di rivedere il mio amico Silvio Berlusconi in occasione del mio viaggio a Roma. Sarà per me un’occasione di ribadire i sentimenti di amicizia che il popolo francese nutre nei confronti del popolo italiano e di preparare, a strettissimo contatto con lui, questa Presidenza francese dell’Unione europea".
Lei pensa che il prossimo Presidente americano riuscirà a far emergere gli Stati Uniti dallo stato di smarrimento in cui versano attualmente ?
"La Francia è un paese amico degli Stati Uniti d’America, un amico che si regge sulle proprie gambe, libero, che non esiterà mai a esprimere il proprio disaccordo – come ho detto davanti al Congresso, a Washington, l’anno scorso – ma un amico fedele, che sarà sempre al loro fianco nei momenti difficili. Quanto al prossimo Presidente americano, ne conosceremo il nome tra qualche mese. Nel frattempo, la campagna elettorale va avanti. Noi europei dobbiamo lasciare che il grande popolo americano compia la sua scelta in tutta serenità ".
Con la politica dell’apertura, lei pensa di avere scalzato il muro che divide la destra dalla sinistra, anche in alcuni settori oggi molto sensibili, come sicurezza e immigrazione?
"L’obiettivo dell’apertura non è mai stato quello di annullare le differenze tra destra e sinistra. Non avrebbe alcun senso. Anzi, sarebbe un errore storico e politico, perché destra e sinistra non sono la stessa cosa. L’apertura, per me, è innanzitutto una convinzione: quella che il Presidente debba essere il Presidente di tutti i francesi, che non possa essere l’uomo di un unico partito. Ho voluto l’apertura anche perché il mio progetto per la Francia è ambizioso e per realizzare grandi riforme è necessaria una grande maggioranza. Ma io sono stato eletto in base ad un programma chiaro, che sto attuando. Le personalità di sinistra che sono entrate nel governo l’hanno fatto sapendo perfettamente tutto ciò ed è per realizzare questo progetto che hanno accettato di unirsi a me. E non vedo proprio per quale motivo avrei dovuto privarmi del loro talento e della loro energia semplicemente perché non appartenevano alla mia famiglia politica".
