Renato Schifani è il nuovo presidente del Senato: l’esponente azzurro, che a Palazzo Madama è di casa avendo ricoperto per anni il ruolo di capogruppo di Forza Italia alla Camera Alta, ha raggiunto alla prima votazione i 162 voti necessari per la nomina. Il voto sì è concluso attorno alle 12,30 e già dieci minuti più tardi il presidente di turno dell’assemblea, Giulio Andreotti, procedendo nella lettura delle schede aveva sancito l’avvenuta elezione del senatore siciliano. In queste ore si vota anche per il presidente anche alla Camera, ma la nomina di Gianfranco Fini, probabile successore di Fausto Bertinotti, non potrà avvenire in giornata: essendo previsto per le prime tre votazioni un quorum qualificato di oltre 400 voti che non potrà essere raggiunto, l’elezione avverrà solo al quarto tentativo quando sarà sufficiente una maggioranza semplice. Ma essendo i deputati 630 e avvenendo le operazioni di voto per chiamata individuale, il completamento della procedura richiederà tempi piuttosto lunghi.
«Mi impegno a svolgere il mio ruolo come garante delle regole. Essere garante sarà la missione» ha detto Schifani nel suo primo discorso da presidente. Ha poi parlato della necessità di «preservare il dialogo» tra i Poli, indispensabile per la «riscrittura delle regole» considerata una priorità della nuova legislatura. Schifani ha poi insistito sulla «reciproca legittimazione», quella che «permette di operare per il bene più importante: la crescita del nostro Paese e la salvaguardia dei valori costituzionali». Tra gli altri temi affrontati, quelli della lotta «a tutte le mafie» (con anche un applaudito riferimento a Falcone e Borsellino), dell’impegno per la sicurezza e contro la criminalità diffusa, dell’unità nazionale che le istanze regionali contribuiscono a valorizzare, della necessità di dare risposte tanto alla questione meridionale quanto a quella settentrionale. «Dobbiamo difendere senza tentennamenti le radici cristiane della nostra identità – ha commentato in un altro passaggio del suo discorso. Dimenticare le nostre radici significa perdere l’anima».
Alla Camera bisognerà ancora attendere. E’ in questo ramo del Parlamento che siedono anche i big dei partiti italiani, a partire da Berlusconi e Veltroni. Un caloroso applauso aveva accolto ad inizio seduta l’ingresso di Gianni Alemanno, a sua volta eletto deputato nelle elezioni del 13-14 aprile (ma a questa carica dovrà rinunciare), fresco di elezione a sindaco di Roma. Nessun applauso dai banchi della Lega, invece, alla lettura del messaggio inviato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Per fare una legislatura costituente «servirebbe un atteggiamento costituente» che ad oggi non c’è. Walter Veltroni dopo l’ufficio politico ha detto che per l’elezione del presidente del senato non si è visto «un minimo di discussione» e nessun segnale di dialogo si vede neanche per il commissario Ue. Il segretario del Pd ha confermato «la nostra assoluta disponibilità per riforme istituzionali che diano stabilità, trasparenza e velocità» al sistema, ma, avverte, ci vorrebbe un dialogo, i cui segnali oggi non ci sono».
Nella riunione del «caminetto» del Pd alla Camera nella sala Aldo Moro c’erano tutti i big da Walter Veltroni a Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani, Piero Fassino, Rosy Bindi, Beppe Fioroni, Francesco Rutelli, Franco Marini, Enrico Letta, Goffredo Bettini, Antonello Soro e Anna Finocchiaro.
«Nel Pd non c’è nessuna resa dei conti, non so se con questo posso rassicurare o rattristare, so che sarebbe più spettacolare, ma non è così”. La riunione di oggi, ha detto, è stata «molto chiara e netta. Il Pd è nato sei mesi fa, ereditando una situazione difficile dal punto di vista elettorale e politico. Abbiamo fatto un grande lavoro», ha detto ancora Veltroni, sulla base di «una scelta di coraggio, che si può anche pagare. Ma certo la cosa peggiore sarebbe tornare indietro».
«No, francamente no. Anzi, il contrario». Così Walter Veltroni, ai giornalisti che, al termine della riunione, gli hanno chiesto se è stata messa in discussione la sua leadership
«Abbiamo deciso insieme e poi discuteremo le modalità di portare la discussione nel partito nei circoli e nel profondo del Pd per far dire a tutti e non solo ai quadri dirigenti la loro idea». Così il leader del Pd, Walter Veltroni, spiega l’esito di oltre due ore di riunione del vertice del Partito Democratico. «Serve una discussione vera, larga per fondare il Pd non solo con il rinnovamento programmatico e culturale».
«Vedremo…». Così Walter Veltroni ha risposto ai cronisti, al termine della riunione del vertice del Pd, sull’ ipotesi di anticipare il congresso del partito, oggi fissato a ottobre 2009.
