In America parte la crociata anti-jeans. “Washington Post” e “Wall Street Journal”, due tra le maggiori testate nazionali, si schierano infatti contro lo storico pantalone. «E’ l’uniforme che sgretola l’America e segnala il suo collasso verso “la sciatteria terminale” -dice lo storico giornalista di destra del “Washington Post” George Will- il jeans non è soltanto sciatto e ideologico, ma ipocrita, come le ricche signore che vanno a far spesa nei supermercati biologici al volante dei loro Suv tracanna benzina e rabbrividisco alla vista di quelle brutte famiglie che circolano indossandolo invariabilmente, padre, madre, figli, come un'”uniforme del nulla”».
Dello stesso parere anche il “Wall Street Journal” dove lo scrittore Daniel Ask ricorda: «Credendosi politically correct, pacifisti e progressisti se li infilano come lontana eco della “controcultura” sessantottina, dimenticano che il jeans è figlio della guerra, della necessità di trovare un calzone pratico per i marinai delle flotte».
Sempre secondo il “Wall Street Journal” i jeans sono ormai un vizio nazionale, andrebbero trattati come le sigarette e tassati a sangue dalla presidenza Obama. Vittorio Zucconi su “Repubblica” ricorda però: «Questo residuato della ribellione giovanilista, questa bandiera dei Marlon Brando, dei James Dean, dei rivoluzionari senza una causa che persino Elvis Presley non voleva indossare perché, da uomo del sud, lo vedeva come un simbolo di miseria, oggi veste miliardari come Bill Gates e Steve Jobs e tutti i baroni delle stock options a Silicon Valley, apice definitivo dell’ipocrisia e della immaturità di questi eterni Peter Pan».