Fini da una parte, il governo dall’altra. Ormai il dualismo nel Pdl è cosa nota. E così il presidente della Camera non ha perso anche stavolta l’occasione per sfilarsi dalle file dei suoi e schierarsi con il Colle sulla sicurezza, tema caro, in realtà, alla destra identitaria di cui per lungo tempo Fini è stato non solo il simbolo ma anche il segretario. E invece no. L’ex missino si ritrova sotto braccio all’ex comunista.
Il giorno dopo i rilievi mossi dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al ddl sicurezza, Fini commenta: «È una lettera politicamente incisiva». Ancora l’immigrazione, dunque, al centro della divisione tra il presidente della Camera e i ministri o il leader del suo partito, Silvio Berlusconi. Proprio sul reato di clandestinità si erano appuntate, del resto, durante l’esame alla Camera le critiche di alcuni deputati ex An come Alessandra Mussolini.
Immaginare un Fini leader dell’opposizione, come si scherza da tempo su blog e giornali, è quantomeno un’idea assurda. Piuttosto, accanto a chi vocifera di calcoli fatti a tavolino per preparare la strada al dopo-Berlusconi, è più facile immaginare che il presidente della Camera si stia ritagliando un ruolo molto simile a quello di Napolitano. Il capo dello Stato è intervenuto ultimamente a sostegno del premier per ben due volte: invocando la «tregua» in vista del G8 dell’Aquila e invitando a un confronto politico «più civile» con chiaro riferimento alle polemiche sulla sua vita privata. Eppure, talvolta non firmando un decreto di legge (come nel “caso Eluana”), altre volte accompagnandolo con una nota (come nel caso sicurezza), Napolitano non ha mai abdicato al suo ruolo di garante delle istituzioni e di custode del dettato costituzionale.
Lo stesso schema, seppur da tutt’altra posizione, che sembra seguire Gianfranco Fini. Uno schema dualista, bipolare, che segnerà la legislatura, soprattutto quando verrà il momento di porre mano alle riforme istituzionali.