
SIRIA, DAMASCO – Sono aperti da martedi mattina alle 7.00 locali (le 6.00 in Italia) i seggi per le elezioni presidenziali in Siria, dove è data per scontata la vittoria del presidente Bashar al Assad su due candidati di comodo dell’opposizione. Oltre 15 milioni di persone, secondo il ministero dell’Interno, sono chiamate a votare, ma potranno farlo solo nelle zone controllate dal regime in una consultazione che l’opposizione ed i Paesi occidentali hanno definito una “parodia della democrazia”. Sono escluse dal voto vaste regioni nelle mani dei ribelli.
Autobomba, raid aerei, bombardamenti indiscriminati, caccia abbattuti: rimane altissima la tensione in Siria il giorno delle “prime elezioni presidenziali pluralistiche” Un’autobomba è esplosa nella regione di Homs, nel centro del Paese, uccidendo – secondo stime ufficiali non verificabili sul posto – una decina di persone. L’esplosione è avvenuta a Haraki, località solidale con il regime.
Nelle zone controllate dalle forze lealiste, sostenute da jihadisti sciiti libanesi e di altre nazionalità , il regime assicura la piena regolarità delle operazioni di voto. Mentre non vi sarà alcuna votazione nei territori controllati da un frammentato e sempre più radicalizzato fronte degli insorti, dove si tenta di resistere all’avanzata dei qaedisti e delle truppe di Damasco.
Jihad Lahham, presidente del Parlamento siriano controllato dal partito Baath al potere da mezzo secolo, citato dall’agenzia ufficiale Sana, ha ribadito che “la determinazione dei siriani di recarsi alle urne e di esercitare il loro diritto dimostra la loro volontà di respingere il terrorismo”. Sempre a Homs, fonti locali riferiscono dell’abbattimento di un caccia governativo da parte degli insorti che, stando alle fonti la cui autenticità non può essere verificata in maniera indipendente, hanno catturato il pilota, identificato come Ali Fahd ‘Abu Miqdad’.
La Siria è da tempo un Paese sconvolto da un conflitto intestino che, secondo fonti non indipendenti, ha ucciso più di 160mila persone e fatto scappare dalle proprie case poco meno della metà della popolazione di 21 milioni di persone. Le proteste popolari del 2011, represse nel sangue dalle autorità , si sono presto trasformate in una rivolta armata che, col passare degli anni, è degenerata in una guerra con dimensioni regionali e internazionali e con l’intervento di miliziani da ogni angolo del pianeta a sostenere, almeno nella loro retorica, le ragioni di quello o di quell’altro fronte. Nel nord del Paese nuovi raid aerei del regime si sono verificati nei quartieri orientali controllati dai ribelli. In particolare a Shaar, secondo video e testimonianze riferite da testimoni locali, un numero imprecisato di civili ha perso la vita in bombardamenti dell’aviazione di Damasco.
Ad Aleppo, secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), che dal 2007 monitora le violazioni nel Paese tramite una fitta rete di attivisti e ricercatori sul terreno, 50 persone sono state uccise nelle ultime 72 ore da bombardamenti indiscriminati dei miliziani anti-regime contro quartieri occidentali controllati dai lealisti. I miliziani sparano ordigni improvvisati costruiti con bombole a gas da campeggio e lanciate con mortai. Questo mentre si è chiusa ufficialmente lunedi la campagna elettorale durata due settimane.
I due candidati “rivali” di Assad – Maher Hajjar e Hassan Nuri – hanno affermato che “non importa chi vince, perchè sarà tutta la Siria a vincere”. Assad dal canto suo non ha presentato alcun programma elettorale ma si è affidato a uno slogan d’effetto: “Insieme”, deriso da attivisti che hanno rispondono: “Insieme si bombarda meglio”.
