Sono passati 29 anni da quella tragica mattina in cui nella stazione di Bologna, il 2 agosto 1980, scoppiò la bomba che sconvolse la città, segnò profondamente la storia d’Italia e uccise 85 persone. Oggi non sono passati nemmeno troppi anni da quella strage, eppure, uno dei tre responsabili ufficiali, l’ex terrorista nero e pluriergastolano Valerio Fioravanti, 51 anni, detto Giusva, condannato all’ergastolo per quella bomba nel 1995, è un uomo libero.
Così, seppure sulla sua scheda in carcere ci fosse scritto “fine pena mai”, per Fioravanti la pena è finita e ora potrà tornare a camminare per le strade come un comune cittadino, grazie a quei benefici che non vengono negati nemmeno ad un ergastolano. Potrà richiedere la patria potestà sulla figlia e il passaporto.
Perché dopo ventisei anni trascorsi in cella qualunque detenuto, se ha mantenuto «un comportamento tale da farne ritenere sicuro il ravvedimento», ha diritto alla liberazione condizionale: cinque anni di prova senza rientrare in carcere nemmeno la notte, durante i quali restano il divieto di allontanarsi dal Comune di residenza e altri obblighi. Fioravanti, arrestato nel 1981, l’ottenne a primavera del 2004, e quindi adesso la sua pena è «estinta», come recita il codice.
Un destino, forse un’ingiustizia per tutti i parenti delle vittime della strage di Bologna, che potrà toccare anche gli altri due condannati per quella bomba, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. La Mambro, moglie di Fioravanti, è in libertà “condizionale” da quasi un anno e Ciavardini, per il quale la sentenza definitiva è arrivata solo nel 2007, è «semilibero» dal mese di marzo: la sera deve tornare in carcere, ma di giorno può uscire.