Arrivano i fogli di via per i terremotati ospitati nella tendopoli di piazza d’Armi, la più grande allestita dopo il sisma del 6 aprile. Sembrerebbe poter essere un giorno di festa, ma non è così. Perché gli sfollati non tornano a casa ma vengono semplicemente spostati in vari albeghi della Regione. In luoghi più confortevoli, è vero, ma anche molto più lontani dalle abitazioni, e soprattutto, dai posti di lavoro. Un problema, questo, reso ancora più pressante dall’imminente riapertura delle scuole.
Così, a piazza d’Armi c’è tensione. La tendopoli, che ospita ancora una cinquantina di famiglie, è diventata off-limits per i giornalisti: guai a raccogliere le voci di un malcontento che si fa via via più forte.
A parlare, per i terremotati , è Gabriele Speranza, un imbianchino che aveva rifiutato il trasferimento ad Assergi, quindici chilometri dal capoluogo, perché troppo lontano dal posto di lavoro e, adesso, si ritrova destinato ad Ovindoli, che da L’Aquila ne dista 37.
«Una sistemazione che renderà impossibile lavorare, per me e per mia moglie, che lavora in una farmacia presso l’ospedale dell’Aquila. È questo il premio – ha aggiunto – per una donna che è stata tra le poche il 6 aprile a presentarsi sul posto di lavoro».
Le proteste, in ogni caso, riguardano anche gli albergatori. A Sulmona, per esempio, c’è chi afferma di non aver avuto ancora un euro di rimborso dal Comune. E i gestori degli alberghi fanno fronte comune con gli sfollati che denunciano di essere, di fatto, stati abbandonati.
«Stiamo andando avanti con grandi difficoltà, cercando di non farle ricadere su chi sta già soffrendo una situazione particolarmente difficile – spiega Luigi Monti, gestore di un albergo – ma non possiamo non evidenziare che mentre i comuni di Bussi e Raiano stanno rispettando regolarmente i loro impegni, così come la protezione civile per gli sfollati aquilani, il Comune di Sulmona si è dimenticato che dal mese di aprile 40 persone hanno bisogno di assistenza e cibo tutti i giorni. Costi e problemi che fino ad oggi sono ricaduti esclusivamente sulle nostre spalle».
