Lo stesso accaduto in diverse province del Sud, un feudo dell’opposizione e dell’attuale protesta. Nel nord e nel nord-est, dove il governo di Yingluck Shinawatra gode di un consenso granitico, le operazioni si sono invece svolte regolarmente. Sebbene finora non si siano registrati episodi di violenza, gli sviluppi odierni confermano come la crisi politica sia tutt’altro che risolta dopo tre mesi di manifestazioni.
Nonostante lo stato di emergenza proclamato lo scorso martedi a Bangkok e nelle province limitrofe, la situazione sul campo non è cambiata: un movimento di protesta sempre più esiguo controlla comunque ampie aree del centro di Bangkok per chiedere un “Consiglio del popolo” nominato dall’alto, senza incontrare la resistenza delle forze di sicurezza.
Venerdi la Corte costituzionale ha stabilito che le elezioni del 2 febbraio possono essere rimandate, ma la decisione deve venire dal governo (che vorrebbe invece tenerle) in accordo con la Commissione elettorale. Un incontro in tal senso è previsto per martedi. Anche se il voto non dovesse essere posticipato, è possibile che venga più tardi invalidato per mancanza del quorum di parlamentari necessari, dato il boicottaggio dell’opposizione e l’assenza di candidati in 28 collegi a causa delle attività di sabotaggio dei manifestanti.