TIBET: LA SPAGNA METTE SOTTO PROCESSO IL GOVERNO CINESE

Secondo l’Alta Corte spagnola la sanguinosa repressione della rivolta in Tibet del marzo scorso non e’ questione interna cinese ma riguarda tutta la comunità internazionale perché si tratta di crimini contro l’umanità. Il caso rientra infatti nella «competenza universale» adottata dal diritto spagnolo nel 2005, secondo cui, in base all’ articolo 607 bis del codice penale, il tribunale iberico può giudicare cause di genocidio e crimini contro l’umanità ovunque avvengano e qualunque sia la nazionalità delle parti in causa.

Per questo, con una decisione destinata quanto meno a far discutere, mentre in Italia si cavilla sui gesti dimostrativi, a tre giorni dall’inizio delle Olimpiadi di Pechino il più alto tribunale spagnolo si è dichiarato competente a giudicare sulle accuse di genocidio mosse delle organizzazioni per i diritti del Tibet contro sette leader cinesi. La denuncia era stata presentata il 9 luglio dal Comitato per il Tibet e da altri gruppi tibetani, contro i massimi esponenti delgoverno cinese, tra cui il ministro della Difesa Liang Guanglie.

Com’ è noto la vicenda è assai oscura. I moti scoppiati a Lhasa il 10 marzo scorso per poi dilagare in diverse regiorni, che avevano portato alla dichiarazione dello stato di emergenza e all’intervento dell’esercito – oltre che a centinaia di arresti – sono stati minimizzati da Pechino, che fornisce un bilancio ufficiale di una ventina di morti (tutti cinesi). Al contrario le associazioni tibetane e i testimoni, denunciano una repressione selvaggia con sparatorie dalle auto in corsa contro manifestanti e semplici tibetani di passaggio, cariche della polizia e centinaia di morti. Difficile accertare in loco: da allora il Tibet, malgrado le promesse di Pechino per la riapertura delle frontiere, è off limits per gli stranieri.

Ma il materiale presentato ha convinto il giudice Santiago Pedraz, magistrato della Audiencia nacional, il più alto tribunale penale spagnolo, ad accogliere la denuncia che accusa Pechino di «attacchi generali e sistematici » contro la popolazione tibetana. L’indagine riguarda il ministro cinese della Difesa, Lian Guanglie, il ministro per la Sicurezza di Stato, Geng Huichang, il segretario del partito comunista in Tibet, Zhang Qingli, l’esponente del Politburo Wang Lequan, il leader della Commissione per gli Affari etnici, Li Dezhu, il comandante dell’esercito a Lhasa, Tong Guishan, e il commissario politico del comando militare di Chengdu, Zhan Guihua.

Pedraz ha chiamato a testimoniare, tra gli altri, diversi esponenti del governo tibetano in esilio e l’autore di un rapporto di Amnesty International sul Tibet. Secondo la denuncia presentata da associazioni come Comitato di appoggio al Tibet, Casa del Tibet e Tubten Wahghen Sherpa, la repressione ha portato a 203 morti, 6mila persone scomparse e mille feriti.

Secondo la preocedura, il magistrato spagnolo ha invitato gli accusati a presentare i loro contro-argomenti alla Audiencia Nacional. Dovrebbero, anche se è assai improbabile che vogliano farlo rispondere di «uccisioni sistematiche e generalizzate di tibetani, lesioni gravi, torture e scomparse forzate». L’istruttoria inizierà in settembre con l’audizione nella veste di testimoni del ministro alla Sicurezza e del direttore del centro per i diritti umani del governo tibetano in esilio del Dalai Lama e del responsabile del recente rapporto di Amnesty International sulla repressione cinese in Tibet.

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