La procura della repubblica di Treviso ha aperto un fascicolo su una dottoressa del reparto di neonatologia dell’ospedale Ca’Foncello di Treviso, Nadia Battajon, la quale, nel corso di un convegno di etica e medicina a Padova, ha raccontato di aver staccato la spina, col consenso dei genitori e dopo un’operazione senza successo, alla macchina che teneva in vita un neonato di 5 giorni affetto da una gravissima malformazione. L’Usl di Treviso ha poi convocato una conferenza stampa, cui ha partecipato la stessa dottoressa Battajon, precisando che l’episodio oggetto dell’inchiesta rientra in una prassi ispirata da una "mozione sull’assistena a neonati e bambini afflitti da patologie o da handicap di altissima gravità del Comitato nazionale per la bioetica".
”Racconto un caso recente – avrebbe detto la dottoressa – di un neonato affetto da gravissime malformazioni, e soli cinque giorni di vita, operato ma ugualmente senza alcuna prospettiva di ripresa. A quel punto noi dell’equipe ci siamo guardati e ci siamo detti: non possiamo fare piu’ niente, che senso ha proseguire le terapie?”.
Cosi’, ha continuato la dottoressa, sono stati chiamati i genitori del bambino: ”A bbiamo spiegato che non aveva piu’ senso quello che stavamo facendo. Lo hanno capito. Abbiamo chiesto se, prima di dirgli addio, la mamma volesse prendere in braccio il suo bambino, che era attaccato alle macchine.
In un primo tempo ha detto che non le sa sentiva, poi nel momento cruciale ha cambiato idea. ‘L’ha preso si e’ seduta su una poltrona tenendolo in grembo e noi, piano piano abbiamo bloccato la somministrazione dei farmaci’. Il bimbo e’ morto tra le braccia della mamma, nella tranquillita’ del reparto”.
La dottoressa avrebbe rivelato che questa stessa decisione sarebbe stata presa ”altre cinque, sei volte, per casi disperati”.
Procedere con le terapie nel caso del neonato di Trevisonato con gravissime malformazioni e al quale sono stati sospesi i trattamenti poiche’ non sussisteva alcuna speranza di ripresa, ”avrebbe configurato, stando ai dati resi noti, una situazione di accanimento terapeutico”.
Ad affermarlo e’ il presidente della Societa’ italiana di neonatologia Claudio Fabris: ”In una simile situazione, configurandosi accanimento terapeutico – ha detto – reputo giusto l’operato della dottoressa dell’ospedale di Treviso , che ha preso tale decisione in accordo con i genitori del piccolo”.
Nel pomeriggio, nel corso di una conferenza stampa convocata dall’Usl di Treviso, la dottoressa Battajon ha detto che "Il concetto di cura di un bambino morente significa aver cura di ogni suo momento rimanente, e consentirgli di morire fra le braccia dei genitori, anziche’ comunque e di li’ a poco in un lettino isolato e collegato a decine di cannucce e cavi, e’ senz’altro la scelta migliore per tutti”.
I sanitari dell’ospedale Ca’ Foncello, ha ribadito, nel prendere la decisione hanno applicato la mozione del Comitato nazionale per la Bioetica, che dipende dalla presidenza del Consiglio dei ministri, votata dalla seduta plenaria del 28 gennaio 2005. Nel caso specifico, peraltro non dissimile, e’ stato sottolineato, da vari altri che si verificano con regolarita’, il bambino – del peso di meno di 1 kg e gravemente malformato – secondo i medici trevigiani non sarebbe sopravvissuto che per poche ore al massimo, anche con tutti i trattamenti possibili.
”Fuori luogo, dunque, parlare di eutanasia – ha detto il direttore sanitario, Michele Tesserin – e ancora piu’ fuorviante accostare il caso a quello di Eluana Englaro”.
”Il nostro sforzo – ha aggiunto il presidente del comitato di Bioetica dell’Usl di Treviso , Camillo Barbisan – e’ quello di umanizzare l’inarrestabile processo del morire, tanto che a Treviso abbiamo individuato degli spazi in cui, in casi simili a quello del neonato, non solo i genitori, ma anche i nonni o i congiunti piu’ stretti, possano accompagnare con il loro affetto gli ultimi istanti di vita di un bambino per il quale nessuna terapia possa ancora avere il minimo effetto sullo spostamento significativo del momento della morte”
