Molti di loro vengono pagati quanto una badante. E sono tra quelli più fortunati. Ma da oggi, se vorranno ancora mettere piede nelle università, dovranno lavorare gratis. I 52.051 docenti a contratto che sgobbano negli atenei italiani, infatti, dovranno abituarsi a vivere di cultura perché gli stipendi saranno presto solo un optional.
E già, perchè con la crisi economica i rettori hanno dovuto stringere la cinghia, sforbiciando i bilanci per riportare la voce ‘uscite’ sotto il livello di guardia. A pagare dazio saranno proprio loro, i professori a cottimo.
Il primo ad annunciare il nuovo corso della finanza universitaria è stato il preside della facoltà di Lettere dell’Università di Torino, Lorenzo Massobrio. Alla presenza dei 50 docenti a contratto della facoltà ha spiegato, senza giri di parole, che le casse sono vuote e chi vuole salire in cattedra lo farà a euro-zero.
E poiché non si possono tagliare gli stipendi dei professori in ruolo, degli associati e dei ricercatori, si può risparmiare solo sui docenti a contratto, casta dei parìa del sapere. Massobrio ha sostenuto che in molti gli hanno «comunicato di essere disposti a accogliere la richiesta». D’altronde l’alternativa quale sarebbe? Uscire dall’università dalla porta di servizio. Grazie e arrivederci.
L’idea di creare dei volontari accademici, per coprire i buchi di organico, solletica numerosi atenei. Anche perchè i rettori hanno, dalla loro, la forza dei numeri. Nel 2007 gli ordinari erano 19.625 e gli associati 18.733. Nulla in contronto all’orda dei “contrattisti”: 52.051. Un bacino sconfinato cui attingere. E infatti le università ne approfittano.
Il Politecnico di Torino ha 18 studenti per ogni docente a contratto, l’università dell’Insubria 15,3, Milano Bicocca 18,7, Verona 18,3, Siena 18,5. A Bolzano si arriva a 3,5 studenti per ogni docente, a Roma europea sui 4,3.
Ma quanto spendono le università per i docenti a contratto? Il Politecnico di Torino, ad esempio, spende tre volte in più per quelli di ruolo, gli associati e i ricercatori (oltre 53 milioni di euro per 875 ordinari, in media 61.537 euro a testa) che per i docenti a contratto (2.623.394 milioni di euro per 1341 professori, in media 1956 euro cadauno).
Nella tabella dei contratti di docenza dell’università di Genova, facoltà di Giurisprudenza, su 105 contratti stipulati per il 2007/2008 quasi uno su tre prevedeva 50 euro di compenso lordo annuale. «Tutto in effetti è deciso da una contrattazione fra il precario, lo sponsor, e il dipartimento-facoltà, e i regolamenti ministeriali e degli atenei sono solo gusci vuoti dove si può adattare tutto il contrario di tutto», spiega Francesco Cerisoli, presidente dell’Aprit, associazione precari della ricerca italiani.
La graduale riduzione dei fondi, ha portato alla moltiplicazione dei corsi a contratto che, in alcune università, sfiorano la soglia record del 50 per cento. Se le facoltà ancora funzionano, insomma, è grazie ai docenti a cottimo. Cui si chiede, ora, di lavorare gratuitamente. Per la gloria della conoscenza e i bilanci d’ateneo.
D’altro canto, come spiega Marco Mondini, ricercatore precario e più volte docente a contratto, si è costretti a insegnare gratis per «mantenere un posto in fila». «Bisogna avere un piede sempre dentro l’università se si vuole sperare di andare avanti. Esistono alcune regole non scritte in questo mondo. Se mi presentassi a un concorso senza aver mantenuto il mio piede dentro, non avrei alcuna speranza di vincerlo».
