USA: LA DERIVA POPULISTA REPUBBLICANA

Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Massimo Gaggi sulle imminenti elezioni presidenziali americane intitolato ”Il fattore Powell”.
Lo riportiamo di seguito:

”Chi pensava che la scelta di Sarah Palin come vicepresidente si sarebbe rivelata un boomerang per John McCain, oggi gongola. Annunciando il suo appoggio a Barack Obama, Colin Powell fa molto di più che allargare il fronte multietnico che già sostiene il candidato democratico: con la sua reputazione di patriota e di repubblicano moderato che ha servito il Paese con Reagan (consigliere per la Sicurezza nazionale), Bush padre (capo degli Stati Maggiori al Pentagono) e Bush figlio (ministro degli Esteri), Powell smonta l’ultima disperata offensiva — quella del discredito — messa in piedi dagli strateghi elettorali del senatore dell’Arizona. Obama amico di terroristi, Obama sospettato di essere un musulmano «nascosto». Insinuazioni pesanti affidate a qualche «spot» in tv o buttate là nei comizi arrembanti della Palin. «Ma siamo matti? Avvelenare la campagna con pure falsità in un momento così drammatico per l’America?», è sbottato alla fine il vecchio generale a quattro stelle, un «figlio del Vietnam» come Mc- Cain, un suo coetaneo, ma, soprattutto, un suo sostenitore.

Powell, infatti, aveva appoggiato McCain (proprio contro l’attuale presidente) nelle primarie repubblicane del 2000 e lo aveva consigliato anche durante questa campagna elettorale. Tanto che il senatore dell’Arizona ne parlava come di un possibile capo della politica estera Usa. Tutto è cambiato quando la campagna è divenuta (anche) scambio di colpi bassi e con l’entrata in scena della Palin. Scelta geniale, coraggiosa ma anche molto rischiosa, si era detto subito. La governatrice dell’ultimo Stato-frontiera d’America come incarnazione di un popolo che vorrebbe tornare allo spirito dei pionieri; il resto, in termini d’immagine, lo avevano fatto la sua freschezza e la «narrativa» cresciuta intorno alla hockey mom d’Alaska capace di trasformarsi in statista. Col fallimento della banca Lehman che ha fatto precipitare una crisi finanziaria rapidamente divenuta anche cataclisma economico e sociale, gli americani hanno, però, perso interesse per le suggestioni, mentre sono tornate in primo piano le banalità quotidiane: la competenza, l’esperienza in campo economico, i rapporti internazionali.

È qui che è arrivato il boomerang Powell: «Mi dispiace deludere il mio amico McCain, ma Obama ha un’agenda politica più convincente ed è un personaggio maggiormente in grado, col suo team, di avviare le trasformazioni di cui il Paese ha bisogno; di superare steccati etnici, razziali, generazionali». Parole che, più che allargare il già vasto consenso di Obama nelle minoranze etniche, spuntano le armi di McCain nella battaglia per la conquista dei moderati. Lo smottamento, in casa repubblicana, rischia di andare anche oltre l’orizzonte delle elezioni del 4 novembre. Parliamo della deriva populista che può dilagare, non più arginata dal pensiero di intellettuali come William Buckley, padre del moderno conservatorismo americano, scomparso pochi mesi fa, e con i portabandiera del pensiero liberista ammutoliti davanti al «neostatalismo» di Bush. McCain si sta servendo del populismo, ma non è un populista. Se il 4 novembre verrà sconfitto, uscirà di scena. La Palin e i populisti no. Mentre prima Bloomberg e poi Powell, due possibili riformatori del partito, hanno scelto altri lidi”.

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