Ethan Nadelmann è un signore di 52 anni, con dottorato in legge a Harvard, che negli Stati Uniti da 20 anni sta cercando di far fare ai divieti contro la marijuana la stessa fine che fece il proibizionismo contro gli alcolici dal 1919 al 1934, abolito perché tutti bevevano comunque l’alcol della mafia come oggi moltissimi fumano l’erba nonostante sia fuorilegge.
In una intervista al New York Times, Edelmann si è detto ottimista che il suo obiettivo si stia avvicinando perché, parafrasando Bob Dylan, «i tempi stanno cambiando». Un’altra volta.
Nadelmann è il direttore della Drug Policy Alliance, un’organizzazione che ha 45 dipendenti dislocati in sette succursali in tutti gli Stati Uniti e che annovera tra i suoi sostenitori e finanziatori anche il finanziere miliardario George Soros.
I tempi stanno in effetti cambiando, sostiene tra l’altro Nadelmann, perché il presidente Barack Obama ha abrogato una legge della precedente amministrazione di George Bush che vietava l’uso di marijuana perfino per scopi medici, ora permesso in 13 stati; perché un sondaggio Field in California ha accertato che la maggioranza degli elettori è favorevole alla legalizzazione dell’erba; e anche perché il governatore dello Stato Arnold Scharzenegger, in precedenza contrario, ora si è detto disponibile a commissionare uno studio per approfondire l’argomento.
Si obietterà che la California è un luogo molto particolare (più che uno Stato viene definito ”uno stato d’animo” per via delle sue stravaganze), ma ci sono altre indicazioni che inducono Nadelmann a bene sperare. Un sondaggio ABC/Washington Post realizzato il mese scorso ha accertato che il 46 per cento degli americani sono favorevoli alla legalizzazione di piccole quantità di marijuana per uso personale. Un precedente, identico sondaggio svolto nel 1997 aveva accertato che la percentuale dei favorevoli era del 22 per cento. Un notevole balzo in avanti.
Come ogni altra campagna diretta ad abolire il proibizionismo dell’erba, anche quella di Nadelmann punta sull’atteggiamento dei cosiddetti baby boomer, coloro nati cioè nel boom delle nascite seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale, una generazione che, contrariamente alle precedenti, in gioventù ha cominciato a fare uso di marijuana e che in molti casi continua a farlo.
Si tratta di persone che oggi hanno dai 50 ai 60 anni e che, avendo avuto esperienza con l’erba, non sono più intimoriti – o lo sono meno – da quanto si diceva, o si dice tuttora, riguardo al fatto che fumare marijuana è il preambolo all’uso di droghe pesanti come eroina e cocaina.
Lo conferma un’altro sondaggio AbC/Washington Post, secondo il quale il 45 per cento dei baby boomer sono favorevoli alla legalizzazione, contro il 30 per cento degli ultra-sessantacinquenni. Nadelman, a 52 anni lui stesso un boomer, ragiona allora in questo modo: «La principale differenza tra la nostra campagna e quelle degli anni settanta è che ora i genitori conoscono bene la differenza tra marijuana ed eroina, hanno familiarità con l’erba, l’hanno fumata, gli è piaciuta e la stragrande maggioranza di essi non è passata alle droghe pesanti».
Ma il New York Times prende le affermazioni di Nadelmann “cum grano salis”, ricordando che spesso, oggi, i figli dei baby boomer cominciano a fumare marijuana alle medie, per passare poi all’eroina quando vanno all’università, per poi farsi ricoverare per la disintossicazione, per poi ricadere nuovamente nel vizio.
Conclude il Times: «È vero che i tempi sono cambiati: abbiamo il primo presidente afro-americano, la crisi economica più grave da 80 anni, cinque stati che hanno legalizzato i matrimoni gay. Il prossimo cambiamento sarà la legalizzazione della marijuana? Potrebbe essere una cosa sensata. Potrebbe accadere. Ma con tanti baby boomer ora diventati genitori impegnati ad allevare figli o nonni che si prendono cura di nipoti, non c’è’ da esserne sicuri».