Walid Abu Obeida è un ragazzo palestinese di 13 anni, che vive in una fattoria in un villaggio della Cisgiordania. È stato fermato da due soldati israeliani mentre tornava a casa con la busta della spesa per la cena. I militari l’hanno accusato di lanciare pietre contro di loro. Picchiato e incappucciato, è stato trasportato a bordo di una macchina prima in un campo dell’esercito e poi in una prigione, dove, rinchiuso in una cella con altri cinque ragazzi, è stato a lungo maltrattato finchè non è stato costretto a confessare di aver lanciato pietre contro gli israeliani. Processato da una corte militare israeliana, Walid è stato condannato a 28 giorni di carcere e a una multa di 120 dollari.
Una condizione, prevista dalle leggi militari di Gerusalemme in vigore nei Territori, che lo accomuna ad altri 6500 ragazzi palestinesi accusati dello stesso reato, secondo le cifre del Ministero palestinese per le questioni dei prigionieri e che è oggetto di critiche da parte di organizzazioni internazionali e israeliane a difesa dei diritti umani. Un rapporto di Defense for Children International di Ginevra parla di “uso sistematico, diffuso e istituzionalizzato della tortura contro giovani prigionieri palestinesi, aggravatosi negli ultimi sei mesi”, e ipotizza complicità ad alto livello politico e militare israeliano. Aggiunge che questi ragazzi vengono solitamente interrogati dalla polizia o dai militari senza un avvocato o un parente, e che le loro confessioni vengono “estorte” durante gli interrogatori. Una evidente violazione della Convenzione Onu contro la tortura che Israele ratificò nel 1991.
Gli avvocati dell’organizzazione umanitaria hanno raccolto 33 testimonianze, tra cui quella di un bambino arrestato quando aveva 10 anni, al quale un soldato israeliano puntò il fucile sul viso. I giovani che subiscono simili esperienze ricevono un trauma e un senso di alienazione profondi e duraturi. La loro innocenza è perduta, e a quel punto cercano protezione e forza nei gruppi militanti armati che combattono gli israeliani con la violenza. Così la spirale di odio si alimenta, come rivelano le stesse parole del giovane Walid: “Gli insulti e le vessazioni dei soldati israeliani le porterò dentro di me fino alla tomba”.