Immaginate centinaia di bambini e di uomini, che patiscono la fame e la sete, costretti con la forza dall’esercito a lavorare nelle miniere di diamante. Immaginate che chi si rifiuta di farlo viene torturato: in tre settimane ne sono già morti 200. Questa è la situazione rivelata da un Osservatorio sui diritti umani in Zimbabwe (Human Rights Watch).
In Zimbabwe, sul finire del 2008, il regime di Mugabe decise di espellere i cercatori artigianali di diamanti stranieri, per permettere che l’unico beneficiario della raccolta fosse l’ex presidente stesso e la sua cerchia di collaboratori più stretti. Oggi, da quattro mesi, il governo è cambiato ma la situazione nelle miniere di diamanti e sulle rotte del traffico clandestino no.
Secondo un rapporto dell’Osservatorio, sulla carte l’esercito dello Zimbabwe dice di voler ricavare dai diamanti i soldi necessari per ricostruire il Paese. In realtà, dalle varie interviste fatte alle persone che lavorano nelle miniere, si capisce che il vero beneficiario del traffico di diamanti, oggi che Mugabe non è più alla guida del Paese, sia solo ed esclusivamente l’esercito. Come racconta la direttrice del centro di studi Georgette Gagnon, «L’esercito ha trasformato una zona di pace (come era fino a pochi anni fa il distretto del Marange dove si trovano le miniere, ndr) in un incubo fatto di illegalità e violenze orribili».
Solo per fare soldi; secondo una stima, infatti, se l’industria del diamante venisse regolata in maniera legale potrebbe garantire al Paese un introito di 200 milioni di dollari al mese. Immaginate quanto potrà valere il commercio clandestino che, per definizione, non ha obblighi di tasse.
In queste ore un team di agenti del Kimberl Process, ovvero l’istituto che certifica che i profitti della vendita dei diamanti non vengano utilizzati per finanziare guerre civili, si sono messi in viaggio per controllare la situazione.