«Se ancora l’Africa non c’è, in quel gruppo che coagula il 50% della ricchezza mondiale e presto l’80%, con l’inclusione di India e Cina, Barack Obama è almeno il segnale che la multirazzialità, e la multiculturalità sono il presente del mondo, anche di quello che crede di potersi chiamare fuori dalla storia». Su “la Repubblica”, Vittorio Zucconi commenta così il ruolo di guida del presidente americano che nel primo giorno di G8 a L’Aquila ha riservato un posto anche al nostro paese.
È di certo una vittoria quella incassata da Silvio Berlusconi: essere nell’orbita “dell’amico americano” rappresenta non solo un apprezzamento, ma anche uno scudo per la piccola Italia esposta al «sarcasmodi chi – si deve ricordarlo – come gli Inglesi e i Francesi, dovette essere persuaso molto a fatica dal presidente Gerald Ford nel 1975 ad aggiungere un posto a tavola anche per Aldo Moro, il nostro premier di allora, al Gruppo».
L’elogio e la considerazione di un uomo che trionfa fra le folle e gode della stima internazionale è un salto in avanti, perché nonostante il dubbio ruolo proattivo del G8 come istituzione, oggi nel 2009 stiamo assistendo al primo summit multietnico della storia. E l’Italia ne fa parte