
Recenti studi di accademie australiane basati su materiali provenienti da università e centri di ricerca di Stati Uniti, Europa, Giappone, ci dicono una importante novità.
Infatti, mentre è noto e arcistudiato che le centrali elettriche convenzionali alimentate a combustibili fossili (metano e carbone) causano emissioni di gas serra, meno noto è che anche le centrali nucleari contribuiscono alla emissione di gas serra.
Con una importante differenza: il contributo all’effetto serra degli impianti a combustibile tradizionale dipende dagli impianti stessi, mentre nel caso del nucleare dipende proprio dal combustibile stesso. In altre parole, la maggior parte delle emissioni serra associate al ciclo dell’uso energetico del combustibile nucleare è causata da fasi di preparazione all’uso del combustibile nucleare stesso e da fasi legate allo smantellamento o “decommissioning” di tutto il sistema “centrali nucleari”.
Il tipo più diffuso di reattori nucleari, quelli di tipo LWR e HWR, necessitano di una media di circa 0.2 kWh termici per ciascun kWh di elettricità generata. Questo ordine di grandezza di intensità energetica, se traslata sulla corrispondente quantità di emissioni serra, significa circa tra 10 e 150 grammi di anidride carbonica (CO2) emessi per kWh elettrico, con una media intorno a 70.
Mentre ovviamente queste emissioni serra sono minori rispetto a quelle delle centrali convenzionali a combustibili fossili (che si attestano intorno a 600-1200 grammi di CO2 emessi, esso è maggiore di quello medio relativo a turbine eoliche e rinnovabili idro-elettriche (siamo intorno ai 15-25 gCO2em/kWhe) e dello stesso ordine di grandezza delle emissioni serra provocate dal solare foto-voltaico o energia elettrica da solare termico (intorno a 90 gCO2em/kWhel).
Veniamo ai particolari. Nonostante le centrali nucleari di fatto non causino emissioni serra negli stadi di produzione di energia, il ciclo intero dell’uso del combustibile fossile nucleare non è affatto a zero emissioni. Il sistema intensivo degli stadi “upstream” di approvigionamento del combustibile richiede degli input energetici e quindi delle emissioni-serra non trascurabili, anche perché tali input sono di fatto procurati tramite l’utilizzo di combustibili fossili che indirettamente comportano emissioni serra.
In sostanza quanta CO2 è emessa dal ciclo del nucleare deve tener conto di concetti chiave noti nella letteratura internazionale scientifica come “greenhouse gas intensities”, “load factor” (o “fattore di capacità” di un sistema di produzione energetica), “energy intensity”, ed essenzialmente dipende dalle delle seguenti fasi: i) ricerca di minerali di uranio (Uranium mining); ii) separazione dell’Uranio dal resto della roccia/sedimento/fluido (Uranium milling); iii) conversione dell’ Uranio in esafluoruro di uranio (UF6) ai fini di permettere l’”arricchimento” dell’Uranio stesso (aumento della percentuale isotopica di 235U fissile rispetto a 238U-non fissile, passando ad esempio dal 0,7% al 3%), sia esso svolto con centrifughe, tramite diffusione gassosa o con altri metodi.
I due metodi principali di arricchimento (che come sappiamo dai telegiornali hanno risvolti militari) hanno consumi energetici (normalmente misurati in unità: kWhel/Kg SWU, dove SWU è il Separative Work Units per kg di minerale iniziale) molto diversi di un fattore 10 a sfavore del metodo a diffusione gassosa, fatto questo determinato dai “cicli di cascata” che hanno un fattore di arricchimento incrementale di Uranio molto diverso tra i due. Alla fine del processo di arricchimento l’Uranio è in forma di ossido di uranio, UO2, pronto allo stage di iv) fabbricazione del combustibile: barre di una certa lunghezza, in contenitori metallici di una speciale lega in zirconio, etc….
Anche questa ultima fase ha dei propri consumi energetici e quindi proprie emissioni serra: essi sono calcolati in GJth/tU ed la media si aggira intorno a 3000 GJth/tU. Poi ci sono v) i consumi energetici della costruzione del reattore nucleare con valori molto diversi (non vi è ancora uno standard di calcolo, che invece andrebbe fortemente auspicato dalla IAEA e dalla comunità scientifica tutta!) intorno, come ordine di grandezza, ai 3000 GWth per un reattore ad acqua leggera da 1000 MW di potenza installata.
Poi vi sono i costi energetici del reattore in operatività (es. moderatore dell’acqua pesante, pompe, etc….) che si aggirano, secondo la più recente letteratura scientifica, intorno a 300 GWth/anno per un reattore da 1000 MW installati.
Veniamo al cosiddetto “decommissioning”: alla fine del suo ciclo vitale un tipico reattore nucleare di seconda e terza generazione produce 10.000 tonnellate di rifiuti di livello media-alta intensità – HLW, mentre la IV generazione ne produrrebbe la centesima parte; altrettante ne produce di bassa intensità e circa 100.000 tonnellate di materiali “non attivati” radioattivamente. Secondo calcoli degli ultimi anni tali costi si attestano intorno adun quarto dei costi di costruzione del reattore nucleare (es. quindi intorno a 1 miliardo di €), ma non è stato fatto un calcolo scientifico serio delle emissioni serra TOTALI indotte da questo tipo di attività che in teoria dovrebbero tener conto di tutti i “movimenti energetici” legati alla sicurezza nucleare, compresi i treni usati e gli aerei usati da una quantità smodata di “riunioni” legate al nucleare ed alla sicurezza nucleare, peraltro necessari, visto il tipo di tecnologia.
Quando saranno finiti i combustibili fossili per far viaggiare sugli attuali treni ed aerei (che vanno a cherosene, prodotto di raffinazione di buona qualità peraltro) queste persone che si riuniscono in nome del nucleare, come si riuniranno in futuro? Verrebbe da dire: sbrighiamoci a fare un nucleare super-sicuro, investendo in ricerca e minimizzando le riunioni, spesso inutili, utilizzando il più possibile la video-conferenza.