Gorlani spiega sul Corriere della Sera:
“La sua presenza media (dati Asl alla mano) si aggira intorno ai 10 microgrammi per litro, mentre la legge parlano di un limite massimo di 5 microgrammi per l’acqua di falda, che si alza a 50 microgrammi per quella che scende dal rubinetto: limite definito dall’Unione Europea 15 anni fa; ad oggi nessuno Stato membro ha considerato un livello apposito per il cromo esavalente che (prodotto principalmente dall’industria) è anche il più tossico per l’organismo. Resta un dato incontrovertibile: per le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità la concentrazione di cromo nelle acque destinate al consumo umano deve essere di norma inferiore ai 2 microgrammi al litro”.
Se il limite di cloro nell’acqua dei rubinetti non è considerato ancora nella norma, il rischio che aumenti in proporzione all’inquinamento delle falde acquifere è concreto, spiega Gorlani:
“Il problema è che fino a pochi anni fa le scorie liquide venivano scaricate semplicemente nei corsi d’acqua e nel terreno. E infatti nel Mella per decenni sono finiti quintali e quintali di liquidi tossici che hanno inquinato i pozzi nella bassa valle, parte della città, fino ad arrivare nella Bassa, il granaio della provincia. La geografia dell’inquinamento parla da sé: il cromo non è un problema per i paesi a monte (Gardone Valtrompia, Nave) lo diventa per quelli a valle”.
Negli ultimi 5 anni il Comune di Brescia ha iniziato il monitoraggio dei pozzi:
“Nell’ultimo quinquennio il Comune sta tenendo sotto controllo 46 pozzi, pubblici e privati. E ha individuato i principali focolai di inquinamento Obiettivo della Loggia è portare i privati alla bonifica e non far ricadere gli enormi costi sulla collettività. Come purtroppo sta accadendo per la Caffaro”.