ROMA, 28 NOV – Per lo scenario post-Kyoto c'e' ''l' ipotesi Ue di prolungare di altri 7 anni'' il protocollo, fino al 2020. A dirlo il ministro dell'Ambiente Corrado Clini, parlando con i giornalisti durante un incontro con l'ex ministro Giorgio Ruffolo, a proposito dei negoziati sul clima in occasione dell'apertura, a Durban in Sudafrica, della 17/a Conferenza mondiale Onu.
La questione – spiega Clini – e' ''capire se ci sono margini per un accordo con regole comuni'' dal momento che ''Canada, Giappone e Russia non ne vogliono piu' sapere''. Rimarrebbe ''solo l'Ue dentro Kyoto'' e pochi altri per ''un pacchetto che coprirebbe solo il 17% delle emissioni'' (l'Ue emette l'11% del totale): cosa che al ministro sembra davvero ''un po' poco''.
Sostanzialmente, per il ministro con i negoziati si tratta di ripensare il sistema energetico: ''Oggi l'85% della domanda globale e' sostenuta da combustibili fossili. Gli scenari ci indicano di portare le rinnovabili al 30-35 per cento e i fossili al 50%''. Se non accade – spiega Clini – ''la CO2 schizza fino a 650-700 parti per milioni (ppm) per la meta' del secolo'' (oggi siamo a 390 ppm per la CO2 e in totale arriviamo a 450 con gli altri gas serra). Cio' provocherebbe ''un aumento tra i 3 e i 4 gradi della temperatura media globale'', cosi' come descritto da uno degli scenari dell'Ipcc, il panel di scienziati che studiano il clima sotto l'egida dell'Onu, tale da provocare ''un guaio''.
Nel settore energetico Clini sottolinea pero' gli investimenti delle grandi compagnie per l'estrazione di olio e gas (''in Artico, a largo della Libia, a largo delle coste brasiliane, a largo del Sudan'') e per le pipeline. ''Ci vogliono 30-40 anni per avere i ritorni di questi investimenti e questo – dice Clini – sta condizionando il futuro energetico''.
Sulla strada delle difficolta' a Durban sembra mettersi il Canada che pare, dicono i negoziatori italiani, voglia ritirarsi da Kyoto con una legge ''gia' pronta'' per ''non pagare'' il conto del primo periodo del Protocollo. A livello europeo, infine, riferisce Clini, ''la Germania ha messo a punto le politiche infrastrutturali piu' solide, poi la Svezia e la Francia, ma la Svizzera e' quella che ha fatto piu' di tutti''.