Deepwater, la marea nera. Fallito il primo tentativo della cupola sul fondo del Golfo del Messico

La "campana" di acciaio e cemento viene calata in mare. Il tentativo è fallito

 

Il primo tentativo di bloccare il petrolio che sgorga dal fondo del mare  del golfo del Messico, davanti alle coste americane, è fallito a causa del ghiaccio nelle alte profondità del mare. La cupola di acciaio e cemento con la quale i tecnici speravano di mettere un tappo al pozzo sottomarino giace, pancia in su, sul fondo del mare, ad alcune centianai di metri dal buco da cui continua a uscire petrolio. 

A mandare a monte il tentativo è stata la formazione di cristalli di gas e acqua ghiacciati assieme: il fondo è a un chilometro e mezzo di profondità e la temperatura da quelle parti è sotto lo zero. Gelano acqua e gas, non gela il petrolio che continua copioso a uscire. 

A faer fallire il tentativo è stato un fatto che tutti conosciamo nella vita domestica: il ghiaccio pesa meno dell’acqua ecosì le formazioni di gas e acqua gelate attorno alla cupola l’hanno fatta sollevare dal fondo  e le correnti l’hanno spostata di centiana di metri, impedendo di centrare, grazie a strumenti elettronici di altissima precisione, la bocca del pozzo. 

Ora i tecnici stanno studiando nuove mosse, come quella di fare risalire a minore profondità la cupola, sperando che l’acqua più tiepida faccia scongelare le formazioni di ghiaccio, oppure di trovare un modo per fare arrivare acqua calda là in basso e sciogliere il ghiaccio in loco. 

I tecnici avevano sperato di bloccare il petrolio che esce da quella che era prima la piattaforma Deepwater Horizon con una specie di campana d’acciaio e cemento, alta oltre 12 metri e pesante circa 78 tonnellate, aperta verso il basso e intubabile sul lato superiore, in modo da fare affluire il petrolio in superficie in modo controllato. 

I tecnici speravano di potere aspirare fino all’85% del petrolio ancora presente in fondo al mare. Ed evitare la catastrofe. Dopo due settimane per costruirla, tre giorni per trasportarla per 80 chilometri e dodici ore per calarla, i tecnici dei soccorsi hanno dovuto riconoscere che la Guardia costiera americana aveva avuto ragione, prevedendo che il ghiaccio sul fondo avrebbe creato difficoltà. Ora dicono: “Stiamo studiando una soluzione per scioglierli ma ci vorranno due giorni”. 

La struttura è stata progettata tenendo conto della pressione a cui è sottoposta a 1.500 metri di profondità, ma sono ancora tutte da verificare le sue capacità di ‘tenuta’. L’obiettivo è di fissarla al fondo, ma non lo si può fare con un intervento umano, bisogna avvalersi di robot subacquei comandati in superficie. Tutto ciò, oltre a presentare una serie infinita di incognite, richiede tempo, ed è esattamente quello – il tempo – ciò che non hanno gli uomini impegnati nei soccorsi. 

“Più passano i giorni, più aumentano le possibilità che il petrolio raggiunga le coste” hanno detto i responsabili della National Oceanic Atmspheric Administration (NOAA), l’organismo federale americano che si occupa della tutela ambientale delle acque e delle coste marine. E’ stato calcolato che dal giorno dell’esplosione circa tre milioni di galloni di petrolio sono finiti nelle acque del Golfo. Dalla falla della piattaforma la perdita continua ad essere intensa, pari a 5mila barili al giorno. Ma per fissare la cupola e farla funzionare come una pompa aspirante, se tutto va come previsto, sarà necessaria almeno un’altra giornata. 

Nel frattempo gli operai che la notte del 20 aprile lavoravano sulla piattaforma hanno rivelato ai media americani particolari finora non emersi. In base alle loro testimonianze, l’incidente sarebbe stato causato da una bolla di metano, formatasi per il cattivo funzionamento di una valvola di sicurezza. La prima esplosione ne ha innescate altre, finché l’intera piattaforma non ha preso fuoco. Gli operai hanno riferito di scene di panico, con la gente che si buttava in acqua in piena notte. Sulle cause dell’incidente sta indagando anche la BP, che ha assicurato che ogni dettaglio sarà reso noto, ma solo al termine dell’indagine interna.

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