Un miliardario svizzero e un nobile belga sono gli imputati. Le parti lese si contano a migliaia. E sotto accusa c’è un intero mondo: l’industria dell’amianto, che nell’ultimo secolo ha creato occupazione, arricchito impresari, prodotto morti e malati di cancro.
Il processo Eternit, cominciato un anno fa, il 10 dicembre 2009, nelle maxi aule interrate del Palazzo di Giustizia di Torino, è diventato, grazie anche alle sue dimensioni e alla sua risonanza, un processo simbolo della lotta per la sicurezza sul lavoro.
Ad essere chiamati in causa sono Stephan Schmidheiny, 64 anni, un magnate elvetico che Forbes colloca al 354° posto fra gli uomini più ricchi del pianeta, e il barone Jean Louis Marie Ghislain De Cartier De Marchienne, ottantanovenne. Sono i ”responsabili effettivi” – dice l’accusa dei pm Raffaele Guariniello, Sara Panelli e Gianfranco Colace – di Eternit spa, e sono quindi i responsabili delle morti provocate dall’amianto lavorato in quattro stabilimenti italiani della multinazionale: Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli).
Sono quasi 2.200 decessi: e non si parla solo degli operai, ma anche dei loro parenti e dei concittadini che hanno avuto il torto di respirare le fibre-killer. Si procede per il reato di ”disastro”. E per la prima volta l’indice viene puntato non contro i dirigenti delle singole filiali, ma contro i vertici.
E’ un processo imponente (l’aula contiene a stento la massa degli avvocati e dei visitatori) che ha un respiro internazionale: i media europei seguono con attenzione ogni sviluppo, alcuni testimoni sono giunti apposta dagli Stati Uniti, fra i patroni di parte civile ci sono otto legali di Francia, Belgio, Svizzera e Germania perché, dicono, ”si spera che la causa di Torino aiuti anche quelle che vogliamo fare per i lavoratori dei nostri Paesi”.
Le trentun udienze celebrate fino ad oggi hanno rievocato il calvario dei malati, i danni gravissimi all’ambiente, la parabola industriale di Eternit Italia. Disegnando, nello stesso tempo, la storia dell’asbesto, o amianto.
I filmati dell’Istituto Luce, ripescati dalla procura, hanno raccontato come nel 1937 lo si lavorava nelle fabbriche. Emeriti studiosi hanno snocciolato dati, statistiche, aneddoti, curiosità.
L’amianto utilizzato per qualunque manufatto, dalle gallerie ai tetti delle case, dalle fioriere alle pagine dei libri (una trovata pubblicitaria che nel 1953 accompagnò l’uscita del romanzo ”Fahrenheit 451”). Gli scienziati che già nel 1898 segnalavano la nocività delle polveri. La Germania nazista che lo vietò negli anni Trenta. I cartelli creati dai grandi produttori (il primo nel 1929) per controllare i prezzi e nascondere le informazioni sui pericoli per la salute. Tutto serve all’accusa per dimostrare che l’Eternit sapeva, che minimizzava, che non provvedeva.
All’ultima udienza, lunedi’ scorso, 6 dicembre, hanno parlato i consulenti della procura: a Casale Monferrato il rischio di ammalarsi di un tumore da amianto è superiore fino a 40 volte rispetto alla media del Piemonte. La tragedia di una città che ha avuto 1.600 vittime. E che viene narrata da un libro uscito pochi giorni fa: lo firma Silvana Mossano, giornalista casalese, si intitola ”Malapolvere”.
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