TARANTO – E’ più importante salvare i posti di lavoro o la salute dei cittadini? Il caso Ilva mette l’Italia davanti a questo dilemma. Una via di mezzo dovrà pur esistere: si può evitare di licenziare e allo stesso tempo cercare di limitare i rischi di malattie per i tarantini? La soluzione probabilmente sarà quella di “lasciar vivere” l’impianto e operare una forte bonifica sulle aree circostanti.
Gian Maria Gros-Pietro spiega in un editoriale sul Sole 24 Ore quello che dovrebbe accadere nei Paesi “civili”: industria, tecnologie, leggi e sanzioni (che poi sono i 4 elementi su cui si basa l’architettura di quelli che chiama “Paesi manifatturieri”) dovrebbe funzionare sincronizzati. Se viene meno un elemento, casca l’impalcatura.
Eppure qualcosa non ha funzionato all’Ilva di Taranto: i magistrati tarantini indagano per reato di “disastro ambientale”. Se i vertici dell’Ilva finiscono in carcere, l’industria rischia di chiudere. E almeno 5 mila operai rischiano il posto di lavoro. Almeno 5 mila, perché se si considera l’indotto-Ilva (stiamo parlando del più grande complesso siderurgico d’Europa), il numero sale a oltre 10 mila persone.
La Regione Puglia ha provato ad “aggirare” la magistratura con una legge approvata ad hoc: la legge sulle emissioni inquinanti prevede che le aziende si adeguino ai livelli fissati dalla Regione. Se non lo fanno, saranno multate o sarà loro sospeso l’esercizio. Sequestro a tempo, ma non chiusura. E posti di lavoro salvi.
La Puglia ha dunque fatto la prima mossa, ma ora si aspetta una mano sostanziale anche dallo Stato. L’assessore regionale all’Ambiente ha detto: “Noi mettiamo 100 milioni per la bonifica, ma ne servono almeno altri 200”. Messaggio tra le righe che il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, sembra aver afferrato: durante l’incontro con i sindacati del 19 luglio ha promesso di lavorare “a un protocollo di intesa per assicurare la continuità aziendale nell’area dell’Ilva di Taranto nel quadro delle compatibilità ambientali”. E per avere le “compatibilità ambientali” il governo non potrà far altro che partecipare alla bonifica.
L’Ilva ha dato sì lavoro a più di una generazione di tarantini, ma ha causato anche malattia e morte: le percentuali dei casi di cancro nell’area-Ilva fanno rabbrividire. Il quartiere più colpito è il rione Tamburi, non a caso quello da cui dovrebbe partire la bonifica.
Così Gros-Pietro ha spiegato nel suo editoriale “l’architrave dei Paesi manifatturieri”: gli elementi della costruzione sono l’industria, che genera la ricchezza; la ricerca scientifica, che genera le nuove tecnologie, spesso in sinergia con l’industria; il sistema normativo, che deve progredire in sincronia con la costruzione, stimolando l’adozione delle tecnologie più avanzate disponibili e indicando in anticipo traguardi raggiungibili e tempificati; il sistema regolatorio e sanzionatorio, che protegge ambiente e cittadini assicurando l’applicazione delle norme.
La speranza è che il governo (insieme agli enti locali) lavori perché tutti gli ingranaggi siano perfettamente oliati tra di loro. Non solo per Taranto, ma per l’Italia, perché il caso-Ilva possa fare scuola.